First Cow
First Cow
Regia Kelly Reichardt, 2019
Sceneggiatura Kelly Reichardt
Fotografia Christopher Blauvelt
Attori John Magaro, Oriion Lee, Toby Jones, Scott Shepherd, Lily Gladstone, Gary Farmer, René Auberjonois.
Dalla Berlinale 2020. Oregon, primi dell’Ottocento. La regista indipendente Kelly Reichardt (Night Moses a Venezia 2013, Certain Women 2016) dipinge (Formato 4:3, fotografia parsimoniosa di luce e appassionata di colori del bosco “umano”) una Nascita della Grande Impresa, restando attaccata all’umore verde e al profumo della terra e dei suoi funghi, alzando lo sguardo verso il cielo solo una volta, con la ragazza dell’inizio, che è anche una fine. La giovane coglie funghi e trova due scheletri, due uomini distesi l’uno accanto all’altro. Oggi, lungo il fiume grandi chiatte traportano grandi carichi di container. Ieri, nessuna prateria, nessuna mandria da trasferire. Nel bosco umido, tutti contro tutti verso il West: cacciatori di pellicce – tre lingotti d’argento per ogni pelle di castoro, attenti c’è un assassino -; un cuoco solitario, Otis “Cookie” (John Magaro), orfano taciturno e melanconico dal Maryland; un immigrato da Canton, King-Lu (OriionLee), derelitto cinese inseguito da russi – “La storia qui non è ancora arrivata, ma ci sono più cose senza nome di quanti tritoni tu possa pescare”. E un proprietario terriero (Toby Jones) da Londra, con sete di latte per il tè e nostalgia di clafoutis, dolce ai frutti di stagione. Il latte per il dolce lo “offre” la mucca di Chief Factor, primo e unico, esemplare, in attesa di compagnia maschile – “Non è un posto per mucche. Se lo fosse, Dio le avrebbe messe qui. Allora, non è nemmeno un posto per uomini bianchi!”. Qui interviene un principio basico dell’Impresa: “I poveri hanno bisogno di capitali per iniziare qualcosa, un miracolo, o un crimine”, dice il cinese. Cookie esegue: munge la mucca di notte e la sua “pasticceria” fiorisce. Non finirà liscia. Non è commedia, è western senza grandi spazi, né grandi gesta. È racconto degli inizi inquadrato da vicino, con amara tenerezza. A veder bene, la base del triangolo ideale componibile con Minari (Lee Isaac Chung, 2020) e Nomadland (Chloé Zhao, Oscar 2021): forma della civiltà del capitale, con le sue ragioni, i suoi spazi, le sue riflessioni, i suoi tempi di vita. E il suggerimento per una rilettura complessiva del western cinematografico, eroi ed autori. Strana aria di anni Sessanta.
Franco Pecori
9 Luglio 2021