Benvenuti a Marwen
Welcome to Marwen
Regia Robert Zemeckis, 2018
Sceneggiatura Robert Zemeckis
Fotografia C. Kim Miles
Attori Steve Carell, Eiza González, Leslie Mann, Diane Kruger, Gwendoline Christie, Janelle Monáe, Merritt Wever, Siobhan Williams, Leslie Zemickis, Stefanie von Pfetten, Neil Jackson, Falk Hentschel, Matt O’Leary, Nikolai Witschl, Veene Sood, Christie-Lee Britten, Matt Ellis, Matthew Kevin Anderson, Samantha Hum, Conrad Coates, Eric Keenleyside, Jason Burkart, Alexander Lowe, Patrick Roccas, Sharon Crandall, Kate Gajdosik.
Perdere coscienza, può succedere. Le vie per rientrare in sé possono essere varie. La relazione col mondo si svolge nella nostra mente – ma diremmo nel nostro corpo, in noi – secondo impulsi e risposte decostruibili e ricostruibili. Le cause di uno sconvolgimento possono riferirsi a un impatto, di qualità più o meno astratta, più o meno fisica o addirittura traumatica. L'”incidente” sarà comunque in un quadro “culturale”, il quadro entro cui capita di muoversi, di vivere. Può darsi, per esempio, che un giorno in un bar la presenza di qualcuno dia fastidio a un gruppo di frequentatori, persone aggressive, violente, intolleranti verso quello che a loro possa sembrare un segno di omosessualità. Così, il signor Mark Hogancamp viene aggredito da cinque energumeni che gli gridano “frocio” e lo riducono in coma. Dopo oltre un mese di ospedale, Mark non ricorda più niente. Dalla sua mente emerge una storia di nazismo, un episodio della seconda guerra mondiale che lo vede protagonista, in Belgio, pilota di un aereo in combattimento. Colpito e precipitato, Mark si trova a vivere nella piccola città di Marwen, in una realtà nemica, con i nazisti in agguato. Realtà e figurazione si confondono nell’immaginazione. Il nostro protagonista (magnifica l’interpretazione di Steve Carrell) si sente spinto, per sopravvivere, a riprodurre in una finzione parallela la città in miniatura. Ogni giorno “gioca”, come i bambini giocano con le cose in miniatura, fondendo persone e realtà con personaggi e oggetti dell’installazione artistica che egli va perfezionando e arricchendo di particolari. Il nazismo ha lasciato il segno, costringendo le sua vittima a vivere in una realtà raddoppiata. La città di Warwen, modello in scala 1:6, è il “piccolo paradiso” di Mark finché Mark non si ribella alla sua solitudine. Le miniature femminili che lo accompagnano nella vita fittizia saranno finalmente le donne “salvezza del mondo”, l’installazione sarà messa in mostra. “Stanco di stare solo, di vergognarsi”, Mark in tribunale guarda in faccia i suoi aggressori. E lo spettatore può ripercorrere il film con l’occhio della realtà ritrovata alla coscienza, magari anche uscendo dalla similitudine circostanziata e trasferendo al possibile in agguato la pertinenza dell’ipotesi. Zemeckis è lo stesso autore di Forrest Gump (1994). Non sembra passato un solo giorno da quel capolavoro di ottimismo provocatorio. Vivace l’invenzione scenica che integra cose e idee, suggestioni e condizioni, lontananze e similitudini. Raffinata la tecnica di animazione (performance capture). La similitudine del piano di rappresentazione “interiore” con lo stesso probabile modello rende necessaria la maggiore acutezza interpretativa e più profondo il risultato della lettura. Il dato che il soggetto del film sia ispirato a un fatto accaduto, già oggetto di un documentario nel 2010 (Marwencol di Jeff Malmberg), non sorprende.
Franco Pecori
10 Gennaio 2019