Loro 1
Loro 1
Regia Paolo Sorrentino, 2018
Sceneggiatura Umberto Contarello, Paolo Sorrentino
Fotografia Luca Bigazzi
Attori Toni Servillo, Elena Sofia Ricci, Riccardo Scamarcio, Kasia Smutniak, Euridice Axen, Fabrizio Bentivoglio, Roberto De Francesco, Dario Cantarelli, Anna Bonaiuto, Giovanni Esposito, Ugo Pagliai, Ricky Memphis, Duccio Camerini, Yann Gael, Alice Pagani, Caroline Tillette, Iaia Forte, Michela Cescon, Roberto Herlitzka.
Nessun accenno alla “nipote di Mubarak” e alla questione che dalla notte del 27 maggio 2010 investì per un po’ il Parlamento della Repubblica Italiana fondata sul lavoro. Se ne parlò pure all’estero, anche se in Russia l’argomento non fece presa. Non se ne accenna in Loro 1, prima parte del dittico che Paolo Sorrentino sembra dedicare alla figura di Silvio Berlusconi, a meno che quella pecora che viene fatta secca dal soffio gelido del condizionatore non fosse una “pecorella smarrita” capitata casualmente nella dimora di Toni Servillo. Sì, l’attore. Servillo non si nasconde, obbedisce con bravura al dettame del regista che, evidentemente pianifica l’estetica del film in una direzione amimetica. Sicché il protagonista somiglia anche al personaggio di riferimento – colui che, milanista, scese in campo politico non solo per vincere sulla Juventus (“L’Avvocato, dice in un raptus d’orgoglio, la sua fortuna l’ha ereditata, io me la sono costruita”) ma per salvare il Paese dai comunisti (“Il venditore”, lo chiamò invece Giuseppe Fiori nel libro del 2004 per Garzanti) -, somiglia ma non è, palesemente non vuole immedesimarsi, ci tiene in ogni istante a chiarirci, tramite l’arte sopraffina della recitazione, che stiamo vedendo lui, Toni Servillo, non Silvio Berlusconi. Del resto, perché mai parlare di Berlusconi. Se si è riusciti a non parlare più di Andreotti, figuriamoci. Il mito, va bene. Ma la storia non serve. Non serve al cinema, non serve il greco alla scuola, non serve il latino, non servono gli architetti per il nuovo cemento, figuriamoci. Tutto quello che si può fare, stando la comunicazione in un certo modo, virtuale avatar avengers superelenchi dei supereroi superbellezze per la Bellezza Super Grande, è una ridondanza che funzioni. Sia mai il realismo che piacerebbe alla gente. Se la favola si raffredda e la pecorella stramazza stecchita, chi crederà più al potere obbiettivo della cinepresa? Sulla tensione “impossibile” (metafisica quanto necessario) tra Realtà e Linguaggio si gioca tutto, anche questo film di Sorrentino. Soprattutto nella prima parte, dove Silvio attende tra le quinte ma dove tutto è da tutti fatto per Lui, è netta la rilevanza formale del fumetto. I personaggi sono figure, le loro battute sono inscritte nella nuvoletta. Nonché di realismo, tantomeno si parli di naturalismo, né s’interpreti in modo diretto il film come “vita e opere” di un Tizio. E allora, chi sono le figure del film? Siamo noi. Noi che abbiamo guardato la Tv – spettacolo e pubblicità, quiz e notizie – illuminata “a giorno”, sfavillante di deleteria allegria subliminale, noi dall’invidia indicibile di una vita trasognata nella permissione liberista, noi che non immaginavamo che quegli anni succeduti al “maledetto” Sessantotto ci avrebbero regalato milioni di aperitivi agli angoli della strada, siamo noi che adesso malvolentieri sopportiamo l’immagine non-documentaria di quelle aspirazioni malposte e fallite. Se vediamo Scamarcio sniffare e strisciare per “arrivare” a Lui (ma dove sta andando, abbiamo il modo di domandarci), se notiamo Bentivoglio nuvoleggiare nella vendita di sé, avviluppato nelle proprie impotenze poetiche, e i corpi delle ragazze esprimere il loro mutismo rimbombante con indegno ossequioso barocchismo, resterà difficile che, riflettendo tra noi e noi, riusciamo a mantenere una sufficiente serenità, tanto per dire almeno che di Belusconi Silvio non ce ne importa un bel niente e che, invece, il mito che Sorrentino rileva e rivela lo troviamo degno di lettura. Gli attori ce li sentiamo addosso, siamo invitati a stare sul set, a partecipare al casting-straniamento per il film da farsi. In questo senso pensiamo anche a Fellini e al suo esercito di mostri. Avvertiamo l’inutilità di distinguere i gradi di bravura. Una per tutte, l’interpretazione “fredda” di Elena Sofia Ricci, moglie pentita (si sfiora il tragico) del mito, donna che coltiva “incredibilmente” la ferita di un cuore che non ha mai battuto davvero. Basti pensare alla corsa dei due “exinnamorati” a cavallo di un motore sul mare “proprio”, capolavoro di sepolcrale sentimentalismo rievocativo. Ma non finisce qui.
Franco Pecori
24 Aprile 2018