La scomparsa di Patò
La scomparsa di Patò
Rocco Mortelliti, 2010
Fotografia Tommaso Borgstrom
Nino Frassica, Maurizio Casagrande, Alessandra Mortelliti, Neri Marcorè, Flavio Bucci, Gilberto Idonea, Roberto Herlitzka, Simona Marchini, Guia Jelo, Manlio Dovì, Franco Costanzo, Giacinto Ferro, Pippo Crapanzano, Alessia Cardella, Giovanni Calcagno, Danilo Formaggia, Alessandro Scarpetti, Francesco Capizzi.
Roma 2010, evento speciale.
Patò è Giuda, ma il tradimento è più largo, collettivo. Tradimento di fede e di onestà, in una Sicilia ottocentesta ma non troppo, che ha le facce di Frassica, di Casagrande e di Marcorè, scherza e fa sul serio, recita e non recita, pecca e chiede perdono. Il Giuda è quello del Mortorio pasquale, rappresentazione paesana che a Vigata vede la partecipazione popolare allo spettacolo dell’impiccagione del traditore. Questa volta (solo questa?) Giuda finge di stare al gioco e invece si fa i fatti suoi, cade nella botola e sparisce. Cherchez la femme. Ma cercate anche il direttore della banca di Trinacria: si sa che Andrea Camilleri (il film è tratto dal racconto dello scrittore siciliano) tiene costantemente d’occhio la storia e l’attualità, impastandola in un linguaggio che pare classico ed è moderno, sembra semplice ed è manieristico. E cercate anche i rapporti tra Carabinieri e Pubblica Sicurezza, nel gioco dei rituali compromissori tra Stato e potere locale (il Marchese Cantante non gradisce il palco dell’impiccagione proprio davanti alla propria casa). Dov’è il giallo? Ci sarebbe se ci fosse suspence, ma il film di Mortelliti (La strategia della maschera, 1998, Ugo & Andrea, 2005) scorre lento e cadenzato sulle battute compiaciute e allusive, trattate a dovere dal terzetto di sceneggiatori che hanno messo mano al testo originale (lo stesso Mortelliti, Camilleri e Maurizio Nichetti). Scordatevi Montalbano, la sua “umanità” televisiva. Qui tutto viene raccontato con un’accentuata saggezza letteraria che tiene sotto tiro l’arguzia del maresciallo Giummaro (Frassica), la discrezione del delegato Bellavia (Casagrande) e la furberia del ragioniere donnaiolo (Marcorè). E nonostante alcuni accenni di sconfinamento volgarotto, non v’è libertà di risata.
Franco Pecori
24 Febbraio 2012