Saturno contro
Saturno contro
Ferzan Ozpetek, 2007
Stefano Accorsi, Margherita Buy, Pierfrancesco Favino, Serra Yilmaz, Ennio Fantastichini, Ambra Angiolini, Luca Argentero, Michelangelo Tommaso, Isabella Ferrari, Filippo Timi, Luigi Diberti, Lunetta Savino, Milena Vukotic, Benedetta Gargari, Gabriele Paolino.
Alla ricerca della sincerità, perfettamente in linea con la moda americana del “coming out” (“uscir fuori”, aprirsi, dichiarare la propria omosessualità, e – per estensione – estrarre tutti i propri segreti dall’armadio) e in linea con il tema di fondo del proprio cinema (recupero di coscienza nel mondo contemporaneo), Ozpetek prosegue nel suo fare poetico marcando la forte impronta autoriale in ogni sequenza. Un gruppo di amici, borghesi quarantenni pieni di paura, stanno insieme, sulla difensiva, coltivando le loro crisi latenti in una quotidianità recintata, ospitandosi vicendevolmente a cena, andando in vacanza, esercitandosi in confessioni, silenzi e complicità, come in una ragnatela disperata. Paura di che? Del movimento, delle nuove articolazioni che la società sembra prefigurare e proporre. Paura di restare soli, senza più la protezione delle vecchie regole, regole di coppia, di amicizia, di sentimenti. Paura di un destino contrario, forse troppo difficile da affrontare. Un marito e una moglie, Buy nella sua migliore maschera, di onesto imbarazzo, e Accorsi, con qualche difficoltà a trovare la giusta profondità di espressione nel rapporto con l’amante , Ferrari , indecisa tra sesso e amore; una coppia gay in camera matrimoniale, Favino-Argentero, con un Favino scrittore di romanzi per ragazzi, magistrale nella fusione di tenerezza ed energia; una turca italiana, Yilmaz, generosa e ironica sputasentenze, con un marito “al seguito”; un Fantastichini “lupo” solitario, forse il più “vissuto”, all'”antica”; e Ambra, la più giovane, “fatta” di coca, occhioni languidi e sconsolata autonomia; e un medico specializzando, Tommaso, un po’ con la ragazza e un occhio al compagno di Favino. Si tira avanti. Ma interverrà una cattiva sorte, un lutto per tutti e specialmente per lo scrittore. Qui Ozpetek accentua l’intento poetico e sembra perdere la misura, dilungandosi in interminabili scene di attesa e di dolore contenuto, momenti-eternità che finiscono per stremare il senso di angoscia e di ambiguità esistenziale di cui s’imbeve gran parte del film. La ridondanza della connotazione impoverisce l’estetica.
Franco Pecori
in psicologia
A Ozpeteck sembra non interessare il perché, né il regista induce lo spettatore a domandarsi il perché del comportamento dei suoi personaggi. Ci domandiamo invece sin dalle prime battute a quale scopo e in quale modo. E la risposta ci è data dalla voce narrante all’inizio del film ed è ribadita alla fine: vorrei che tutto restasse come ora, sempre immutato. Togliendoci così il piacere di scoprirlo da soli. E il timore del cambiamento con il conseguente immobilismo – che è la difficoltà a separarsi ed individuarsi, condivisa da tutti i componenti il gruppo, mascherata da un loro darsi da fare sterile che non produce cambiamento e da una “sincerità” di copertura, una finta, perché strumentale, apertura al nuovo, e una facilità a manifestare le proprie tendenze e fragilità, che attraggono e distolgono gli altri e soprattutto loro stessi dal prendere coscienza della paura sottostante. All’unico scopo condiviso di lasciare le cose come stanno, ciascuno interagisce con l’altro come per un tacito accordo, nessuno ha una propria vita autonoma, separata, tutti sembrano immersi in un unico mezzo vischioso, una sorta di mastice, che trasmette a ognuno di loro persino i sospiri dell’altro. E per questa ragione non c’è un personaggio che prevale: il protagonista è il gruppo. E quando si prefigura la minaccia di un cambiamento (la separazione del bancario dalla moglie), il gruppo interviene per rimettere le cose come stavano. Persino la morte di uno di loro non solo non è sufficiente a produrre cambiamento e renderli dunque liberi, ma è utilizzata come fattore omeostatico. C’è da dire che nella realtà però tali gruppi chiusi sono più ” astuti” e non così facilmente smascherabili, forse a causa della inconsapevolezza del sistema che rende tutto oscuro.
Vera Di Maio
23 Febbraio 2007