Paterson
Paterson
Regia Jim Jarmusch, 2016
Scenaggiatura Jim Jarmusch
Fotografia Frederick Elmes
Attori Adam Driver, Golshifteh Farahani, Frank Harts, Rizwan Manji, William Jackson Harper, Trevor Parham, Brian McCarthy, Troy T. Parham, Chasten Harmon, Kara Hayward, Sterling Jerins.
Per chi non si rassegni a vivere nella gabbia dei generi e cerchi alternative indipendenti, nell’intento stare il più possibile vicino alla realtà. Senza gridare, poco poco, piano piano, con occhio attento al flusso minimo delle cose, le cose osservate dal parabrezza del bus, le cose di casa. “Abbiamo molti fiammiferi in casa nostra / Li teniamo a portata di mano..”: Paterson scrive anche poesie (le scrive per il film Ron Padgett), guida il bus a Paterson, nel New Jersey, ma potrebbe guidarlo in qualsiasi città. Dice “Abbiamo” perché in casa con lui c’è Laura (Golshifteh Farahani) e c’è il bulldog Marvin. E nel cinemag di Jarmusch ci sono Daunbailò (Down by Law 1986), Coffee and Cigarettes (2003), Broken Flowers (Grand Prix a Cannes 2005). Un film – dice l’autore – che «dovremmo lasciarci scivolare addosso», è la vita quotidiana nell’arco dei sette giorni. Tra Paterson e la moglie – lei gli vuole un gran bene, anche se qualche pensierino au-delà può affacciarlesi, pur al di qua di un vero progetto – non emergono contrasti. Potrebbe anche essere il sogno di una vita tranquilla in questo mondo così pieno di rivolgimenti e ingiustizie aggressive, un modo per starsene in pace, “loin du Vietnam”, magari in attesa di un colpo di scena. Ma non ci sperate troppo, servirà – se mai – per non restare davvero prigionieri di una non-azione strabordante nel teorico. Tuttavia, farebbe sorridere chi pensasse a una qualche “antifiction”, come se la finzione al cinema fosse soltanto la “Fiction”. Invece, è proprio l’elemento finzione, còlto, estratto e reindotto nel montaggio (sì, certo, nel montaggio) di una “semplicità” tematica, a indicare, con discrezione poetica, non il Cinema bensì un possibile metodo di traduzione/induzione cinematografica dalla cinepresa allo schermo. Se è vero che un film “storico” è pur sempre e anzitutto un documento (non un “documentario”) sul modo di fare un film “storico”, è anche vero che un film “semplice” è, forse soprattutto e/o specialmente, il documento di una semplificazione, di una riduzione della complessità a regime audiovideo. L’importante è che non si senta d’emblée poeta anche lo spettatore, taccuino alla mano – il cellulare no, ci mancherebbe! -, in giro per la città. Ce ne vuole. [In concorso a Cannes 2016]
Franco Pecori
22 Dicembre 2016