Petite Maman
Petite Maman
Regia Céline Sciamma, 2021
Sceneggiatura Céline Sciamma
Fotografia Claire Mathon
Attori Joséphine Sanz, Gabrielle Sanz, Nina Meurisse, Stéphane Varupenne, Margot Abascal.
Nonna madre figlia, una capanna nel bosco. Distacco, perdita: sono i fatti, ma siamo ben oltre, giacché siamo nel cinema di Céline Sciamma e la giovane è sempre in fiamme. A giocare sui titoli si rischia la miseria, ma il fuoco interno che da un film all’altro brucia sensazioni, fusioni di genere, ellissi del dire, è ciò in cui consiste l’arte della regista francese. Davvero. E perciò si ripete, da Diamante nero 2015 a Ritratto della giovane in fiamme 2019, a Petite Maman (passato a Berlino 2021 e sopraffatto dall’istanza realistica dell’insegnante e del porno – Bad Luck Banging or Loony Porn). Qui non ci sono falsità, né stereotipi opportunistici. Tenera, amara, profonda, Sciamma evita il rischio dell’esercizio psicoanalitico e ci emoziona con l’appassionata premonizione del mondo futuro. È un futuro che non viene dal nulla né dalla catastrofe, una proiezione nutrita di fantasia irreversibile, concretizzata dal miracoloso apporto di due piccole attrici (sorelle nella realtà). Joséphine Sanz è Nelly, otto anni. Non ha potuto dire l’ultimo arrivederci alla nonna e soffre per il distacco che rende triste anche la madre (Nina Meurisse). C’è una casa da svuotare, un’intera collezione di oggetti conservati dalla gioventù fino alla morte, segni anche della successiva presenza della figlia, la quale sembra non resistere al dolore per la perdita e si allontana senza dire il perché. Resta il padre, affettuoso, ma senza memoria (“Non ricordi perché non ascolti”, sintetizza Nelly). La bambina è attenta alla sofferenza della madre e s’interessa anche ai suoi ricordi, soprattutto alla capanna costruita nel bosco proprio alla stessa età di otto anni. Ed è nel bosco che Nelly incontra la coetanea Marion (Gabrielle Sanz). Costruiscono insieme la loro capanna e vivono un affetto onirico quanto verosimile. Nelly vede in Marion la propria mamma e si fa figlia di lei – bambina o mamma, non lo sapremo mai – cercando con lei altre fantasie, altre storie a venire. La regia non si nega all’occhio dello spettatore, lo invita a vedere, punta alla sintesi del particolare, scandisce il tempo discreto degli stacchi, gli oggetti e gli spazi vivono insieme alle piccole protagoniste, lasciandole libere di “cancellare” e di “ricostruire” a piacimento, secondo un sogno traslucido che non lascia scampo alla “verità”. Importante l’uso del tempo, la durata delle inquadrature, delle sequenze si fa senso del narrare. [Berlino 2021, concorso. Roma 2021, Alice nella città, Anteprima e Miglior Film]
Franco Pecori
21 Ottobre 2021