Come Dio comanda
Come Dio comanda
Gabriele Salvatores, 2008
Alvaro Caleca, Filippo Timi, Elio Germano, Fabio De Luigi, Angelica Leo, Alessandro Bressanello, Vasco Mirandola, Carla Stella.
Fuga per la tangente. “Obbiettività” e tragedia non vanno molto d’accordo. Vi immaginate uno Shakespeare cerchiobottista? Salvatores, dopo il bellissimo Io non ho paura (non vogliamo credere che quel film vada “riletto”), costringe Germano a diventare lo scemo del villaggio (per un capocantiere che preferisce dare lavoro agli extracomunitari). L’attore, dopo tanti “nervosismi” approda ad una vera e propria follia. Niente di male, se non fosse che rischia di essere lui la chiave interpretativa del film. Tuttavia se si sta attenti, la problematica del rapporto padre/figlio, racchiusa in un sistema di idee “nazi”, resta centrale. La follia, soprattutto teatrale, serve per switchare i noduli del racconto, quando questo si farebbe duro e richiederebbe chiarezza di idee. E non è l’ambiguità dell’arte, è la tangente (fuga). Lasciamo stare Niccolò Ammanniti e il Premio Strega. Se da un libro fai un film, la responsabilità diventa tua. Da una parte il regista “denuncia” il comportamento del padre, che educa il figlio a tenere segrete le idee fasciste con cui lo plagia (non è politica, siamo più all’interno): «Quello che ci diciamo – ordina Rino (Timi) a Cristiano (Caleca) – non lo devi dire a nessuno». Dall’altra lo inizia all'”amicizia” con la pistola e alla virilità dell'”autodifesa” contro chi può fargli del male. O, ancora più elementare: la ragazza pescata in un locale e portata a letto scopre che Rino è “nazista” quando lui, dopo averla praticamente violentata, si accorge che lei porta sul braccio i segni della droga; e d’altra parte, Cristiano resta turbato nel vedere che le amiche di scuola si divertono a “rubare” in un negozio. Chi si occuperà di questi personaggi in cerca di una dimensione reale? Non basterà certo un’assistente sociale (De Luigi), pur consapevole della propria inadeguatezza. È quel rapporto “vizioso” di un padre e di un figlio, “soli” nella società (per la precisione il Nordest italiano) incomprensiva e ingiusta, è quello il problema: un problema che cerca invano soluzione in una catarsi assente dalla scena accentuata e stressata in punte di interminabile contorcimento sotto la pioggia e nel fango del bosco notturno. Una tragedia prigioniera delle virgolette resta nel mezzo, indecisa. Inutile tirare in ballo Dio.
Franco Pecori
12 Dicembre 2008