L’ufficiale e la spia
J’accuse
Regia Roman Polanski, 2019
Sceneggiatura Robert Harris, Roman Polanski
Fotografia Pawel Edelman
Attori Jean Dujardin, Louis Garrel, Emmanuelle Seigner, Grégory Gadebois, Hervé Pierre, Didier Sandre, Wladimir Yordanoff, Mathieu Amalric, Damien Bonnard, Eric Ruff, Laurent Stocker, Michel Vuillermoz, Vincent Grass, Denis Podalydès, Vincent Perez, Melvil Poupaud, Laurent Natrella.
Premi Venezia 2019: Leone d’Argento – Gran Premio della Giuria, Premio Fipresci.
Sappiamo che la sorpresa non ci sarà. L’affare Dreyfus è storia consolidata, nulla da scoprire. Ma la vergogna sì, resta. E pesa la sola possibilità che ancora oggi si faccia finta di niente o, peggio, si scelga di trascurare il peso di altri “episodi” di antisemitismo e di razzismo nel mondo “avanzato”. In una fredda mattina del gennaio 1895, nel cortile dell’École Militaire di Parigi, Alfred Dreyfus (Louis Garrel), capitano ebreo, viene degradato in maniera umiliante. Accusato di spionaggio a favore dei tedeschi, l’ufficiale verrà spedito al confino sull’isola del Diavolo, nella Guyana francese. La spada di Dreyfus è teatralmente spezzata in due davanti alle truppe schierate. Nessuna sorpresa, orrore glaciale. Una scena che si poteva girare in tanti modi. Qui è Polanski, non suona un campanello, non cigola una porta, la situazione è chiara. Eppure la suspense non manca. Invece della domanda: “chi è il colpevole”, presiede al racconto la struttura scenica. Invece di una caccia alla forma “spettacolare” assistiamo a un’implacabile persecutio del taglio, della prospettiva geometrica, ravvicinata e limpida. Siamo immersi e partecipi in una trasfusione di misure esatte, di corrispondenze di senso, di conferme sorprendenti per trasparenza. Siamo invitati a restare dalla parte giusta, culturale, storica, politica attraverso la giustezza: un millesimo di tempo non avanzerà in alcuno stacco, non un centimetro fuorviante nella distanza tra gli oggetti e dal singolo oggetto a noi che guardiamo. Tra gli ufficiali, in quel cortile, c’è Georges Picquart. Riconosciamo Jean Dujardin, poco a che vedere col George Valentin in Bianco & Nero di The Artist 2011. Qui stile, non per esercizio. L’attore è nei panni dell’ufficiale che assiste alla scena e poi, per un destino “inverso” che fa pensare al masochismo oggettivo del Thomas di Venere in pelliccia (tra l’altro, una Venere anche qui ha le sembianze di Emmanuelle Seigner, la stessa del film del 2013), viene promosso a capo della Sezione di statistica, proprio nel “covo” del controspionaggio da cui è arrivata la montatura ai danni del “traditore”. A Picquart viene in mente che Dreyfus possa essere innocente. Noi lo sappiamo che è innocente. Ma ci pensa Polanski. Ogni spostamento da una stanza all’altra, ogni passo per cercare una carta, ogni sguardo per misurare la menzogna, misura il tempo di un “inseguimento” – per la cattura della verità che già conosciamo – più emozionante di tante rincorse in auto, di rocambolesche attrazioni di genere giuste per il popcorn. Un telegramma non spedito si può analizzare, una calligrafia che coincide, una menzogna fatta tesoro per l’avida pace di un esercito in guerra discriminante. Una trafila Ufficiale, uniformi di altri tempi, tempi che non passano mai, per un traguardo reazionario contro una storia di civiltà. Inorridisce Émile Zola. Nientemeno. Condannato anche lui, ma non dalla Storia. Ci vuole una penna in certi casi. Non solo per il trattamento degli ebrei: anche per non sentirsi, un domani, spiegare Platone al popolo dall’ultimo poliziotto arrivato a comandare. L’antefatto francese, noto e privo di suspense, non è citato a sproposito se la sintassi/cinema la gestisce un regista. [Film della Critica, Designato dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani SNCCI]
Franco Pecori
21 Novembre 2019