Il mio migliore incubo
Mon pire cauchemar
Anne Fontaine, 2011
Fotografia Jean-Marc Fabre
Isabelle Huppert, Benoît Poelvoorde, André Dussollier, Virginie Efira, Corentin Devroey, Donatien Suner, Aurélien Recoing, Eric Berger, Philippe Magnan, Bruno Podalydès, Samir Guesmi, Françoise Miquelis, Jean-Luc Couchard, Emilie Gavois-Kahn, Serge Onteniente, Hiroshi Sugimoro.
Roma 2011, fc.
La signora borghese, intellettuale, intenditrice d’arte, raffinata e freddina, l’operaio praticone, ignorante e rozzo, spiritoso e sensuale. Madre poco adatta all’educazione del figlio, Agathe (Isabelle Huppert) vive agiatamente a Parigi col marito François (André Dussolier), un bel po’ più grande di lei. Non c’è aria di sesso. Padre quasi disperato, solo con i suoi problemi, scapestrato e sul filo dell’indigenza, Patrick (Benoît Poelvoorde) entra nella vita di Agathe per dei lavori da fare nell’appartamento. Si muove con sfacciata disinvoltura, beatamente immerso nel “fuori contesto”, e impatta contro l'”orrore” della signora, lasciando intravedere incomprensioni catastrofiche. Intanto i due figli, coetanei e compagni di scuola, se la intendono ai videogiochi. Tutto chiaro. L’impossibile sarà verosimile sulla strada del compromesso e dell’attrazione “naturale”. Sarà il trionfo del buon senso (sensi compresi) che tutto appiana e risolve, sciogliendo nel contatto fisico le distanze sociali e culturali. Magari nella realtà le cose fossero così semplici. Ma al cinema ci si può divertire. Decisivo l’ausilio della bravura di attori di classe superiore e su tutti la Huppert, frequentatrice di orti creativi coltivati da specialisti quali Tavernier, Godard, Bolognini, Ferreri, Taviani, Chabrol, Ruiz, Assayas, Haneke, Bellocchio. Vero che nel film della Fontaine (Nathalie 2004, Coco avant Chanel 2009) il paradosso non sorprende né tantomeno la conclusione, che comunque non riveliamo. Ma il cinema a volte è anche profonda simpatia.
Franco Pecori
30 Marzo 2012