Bel Ami – Storia di un seduttore
Bel Ami
Declan Donnellan, Nick Ormerod, 2012
Fotografia Stefano Falivene
Robert Pattinson, Uma Thurman, Kristin Scott Thomas, Christina Ricci, Colm Meaney, Philip Glenister, Holly Grainger, James Lance, Natalia Tena, Pip Torrens, Amy Marston.
Berlino 2012, fc.
Si può fare il giornalista senza sapere niente della materia di cui si scrive e senza saper scrivere bene? Basta farsi aiutare, magari da una bella donna (Uma Thurman), magari dalla moglie di un amico, già commilitone in Algeria e ora giornalista affermato, per puntare poi allo stesso editore (Colm Meaney) – anch’egli ha una moglie (Kristin Scott Thomas) – del giornale che vuole incidere sulle sorti del governo e della nazione. Insomma è questione di spregiudicatezza, di abilità nell’opportunismo. E come si fa a entrare nelle grazie della signora? Lì è questione di fascino, di presa diretta sulla “sensibilità” delle donne, anche quelle più in vista nella società del momento. Se poi c’è anche una terza amica sposata (Christina Ricci), da visitare nel suo segreto nido d’amore, un pizzico (ma solo un pizzico) di romanticismo non guasterà il disegno. Resterà il bello della vicenda, che sta nella distanza sociale tra l’aspirante giornalista e la scalata ch’egli s’è messo in testa di compiere. Bel Ami, bello e amico, pronto a tutto, freddo e senza talento: perché il destino degli uomini – così dice lui – è di morire e dunque vale la pena di fare ogni sforzo per vivere al meglio. E se in cima alla scalinata l’arrivista troverà addirittura la figlia dell’editore (Holly Grainger) pronta a sposarlo, non meriterà una punta di ammirazione? Vi sembra una storia attuale? Vi sembrerà ancor più vicina se al protagonista date le sembianze di Robert Pattinson, il giovane vampiro “buono” della saga di Twilight. Per contrasto, la mediocre “cattiveria” di Georges Duroy, il Bel Ami in oggetto, rafforzerà le ragioni (false anche quelle, ma che importa?) dei destini di quella vita da succhiasangue che “se volete era dura ma piaceva tanto ai giovani”. Troverete anche che la storia somiglia, ma solo così dall’esterno e in superficie, a quella del secondo romanzo di Guy de Maupassant (1885). Non siamo noi a equivocare sulla sostanza, giacché la forma non è trascurabile. La maschera di Pattinson è ancora quella del vampiro Edward Cullen (2008) e non è bastato l’esordio nella regia cinematografica dei due inglesi esperti di teatro, Declan Donnellan e Nick Ormerod, a cancellare quell’impronta decadente, d’un destino avverso/piacevole. Della valenza letteraria, della scrittura in sé, non è il caso di parlare: nessuna traccia del naturalismo/realismo dell’Ottocento francese né della carica corrosiva insita nella “semplicità” di quella narrativa. Qui la semplicità fa posto alla semplificazione e, al limite, lascia emergere un po’ del cinema che le tre coprotagoniste femminili portano con sé – Tarantino, Polanski, Allen e via dicendo.
Franco Pecori
13 Aprile 2012