One Night in Miami
One Night in Miami
Regia Regina King, 2020
Sceneggiatura Kemp Powers
Fotografia Tami Reiker
Attori Eli Goree, Kingsley Ben-Adir, Aldis Hodge, Leslie Odom Jr., Lance Reddick, Christian Magby, Aaron D. Alexander, Carlton Caudle, Patti Brindley, Nicolette Robinson, Joaquina Kalukango.
Non una notte qualsiasi. È il 25 febbraio 1964, Cassius Clay demolisce Sonny Liston sul ring del Miami Beach Convention Center. Divo ventiduenne del pugilato mondiale, Clay (Eli Goree) festeggia il trionfo recandosi a un appuntamento con tre amici afroamericani, all’Hampton House Motel. Sono personaggi famosi, ciascuno nel proprio campo. Sam Cooke (Leslie Odom Jr.) è un cantante Soul-pop in grande ascesa, da poco approdato nientemeno che al Copacabana, dove ha cantato “You Send Me”, appena tollerato dagli ospiti del locale. Jim Brown (Aldis Hodge), georgiano di nascita, è un campione della National Football League che non disdegna di misurarsi anche in prove d’attore nel cinema. Ma a Clay interessa soprattutto incontrare Malcolm X (Kingsley Ben-Adir), avendo intenzione di passare dalla sua parte, nella Nation of Islam (vorrà chiamarsi Muhammad Ali). Malcolm, attivista battagliero – qui visto con sfumature al limite del sentimentale -, vede nei “fratelli” neri la possibilità e il dovere di lottare per i diritti umani, nella società dominata dai bianchi. Regina King (Oscar da Attrice non protagonista nel film di Barry Jenkins Se la strada potesse parlare, 2019), regista di solida esperienza televisiva, elabora con “tranquillità” scenica la pièce teatrale di Kemp Powers. La camera del motel dove i quattro fratelli si trovano a discutere per tutta la notte è luogo ideale per un dibattito storico e ancora oggi di piena attualità. La cinepresa ne varca a tratti i confini solo per dare un minimo di respiro alle sequenze, senza intenzioni distraenti. L’entusiasmo di Cassius è lo stesso con cui il pugile affronta il ring, l’atleta vuole aderire alla Nazione spinto da un sentimento di potenza vincente che non ha preso finora in considerazione gli elementi dialettici contenuti nel tema. Cosciente che “il viaggio è diverso per ognuno di noi”, Malcolm discute con i “fratelli” cercando di mantenere la coerenza morale che gli sembra necessaria – certe sottolineature risuonano buone anche per il contesto dei nostri giorni, come quando X si rivolge ai neri borghesi, “negri di successo, sempre contenti delle vostre briciole”. E a Sam: “Non sarai mai amato dalla gente a cui cerchi di piacere”. Il cantante, ribatte con la capacità, che sta dimostrando, di saper comunque mantenere a proprio vantaggio i diritti commerciali derivanti dai propri successi: “Non è soltanto – dice – tutto bianco o nero”. Più avanti, in una pausa in macchina con Clay, chiarirà il concetto di Black Power: “Quello che vogliamo veramente è il potere, un mondo in cui non è rischioso essere noi stessi, apparire e pensare come vogliamo”. Nel momento centrale della discussione, Malcolm aveva messo sul giradischi la canzone di Bob Dylan, Blowing in the Wind. “Quante strade deve percorrere un uomo prima di essere chiamato uomo?”. E incalzava: “Cosa devono fare gli oppressi prima di essere riconosciuti come esseri umani? Perché quella canzone è prima nella classifica delle vendite?”. Ovvia l’importanza anche della musica e dei successi di ogni tipo, anche sportivo, nel contesto culturale. Nel film non si accenna al jazz, pur segnando quegli anni il momento di maggiore vivacità del Free jazz/Black power. Ma insomma basti pensare agli esiti che avrà poi la protesta Rapper, anche per accogliere col giusto spirito il momento del film, quando X ricorda a Sam, la volta che a Boston “Mr. Soul” cantò “a cappella” insieme al pubblico, il work song “Chain Gang”; e annuncia che lascerà la Nazione dell’Islam perché “i vertici non sono all’altezza del compito”. All’altezza è invece il cast del film, che senza sussulti speciali ci accompagna in un momento di riflessione, oggi non disdicevole. [Fuori concorso alla Mostra di Venezia 2020]
Franco Pecori
15 Gennaio 2021