La ragazza d’autunno
Beanpole | Dylda
Regia Kantemir Balagov, 2019
Sceneggiatura Kantemir Balagov, Aleksandr Terekhov
Fotografia Kseniya Sereda
Attori Viktoria Miroshnichenko, Vasilisa Perelygina, Andrey Bykov, Konstantin Balakirev, Igor Shirokov, Konstantin Balakirev, Kseniya Kutepova, Olga Dragunova, Timofey Glazkov, Alyona Kuchkova, Veniamin Kac
Premi Cannes, Un certain regard 2019: Kantemir Balagov reg., Fipresci. Torino 2019: Viktoria Miroshnichenko atr.
Sospensione drammatica. Si pensa che da un momento all’altro possa sciogliersi in negativo, ma si realizza che siamo in un film di riflessione, basta il tono. È il 1945, Leningrado è distrutta dalla guerra, l’immagine della città si riflette nelle persone e viceversa, tutto è triste, si fa fatica a riprendersi e ricominciare la vita. Un senso di stordimento, di confusione diffusa ostacola la ripresa. Quella che all’inizio sembra una lenta introduzione, si protrae segnando l’importanza della scelta stilistica a favore del senso complessivo del film. Denso di colori anche forti – il rosso, il verde, il blu scuro, il giallo grigio, sfiorati spesso da una luce “di candela” -, il racconto è testimone di se stesso, come lasciando che il susseguirsi degli eventi prenda piede in una progressione introspettiva, all’interno della quale le singole azioni, i movimenti dei personaggi, i loro tempi anche interiori ci mettono al corrente di una situazione che è tanto difficile definire personale quanto impossibile non ritagliare dalla tragedia storica. L’occhio di Kantemir Balagov, regista caucasico al secondo lungometraggio dopo Tesnota (2017), partecipa osservando, descrive tracciando segni di empatia, narra anche in modo ravvicinato ma senza mai spingere sull’emotività. È un invito, il suo, a restare in situazione. L’aiuto che gli viene dai personaggi principali, quello di Iya (Viktoria Miroshnichenko) – il film attinge al romanzo “La guerra non ha un volto di donna” della scrittrice Premio Nobel 1967, Svetlana Alexievich – è fondamentale, decisivo anche il contributo di Masha (Vasilisa Perelygina) e importante quello di Nikolay (Andrey Bykov), l’ufficiale medico dell’ospedale dove s’incrociano i destini di fine-vita e di penosa attesa dei sopravvissuti all’assedio della città. Masha, rimasta vedova, ha saputo destreggiarsi (lo racconterà molto “tardi” lungo lo svolgimento del film) nella figura di “moglie temporanea dei soldati”. Affidò il suo bambino a Iya, compagna di artiglieria, finendo per perderlo. Ferita durante la guerra, ha perso anche la capacità di concepire ancora. E vede in Iya la possibilità di far comunque nascere un bambino. Nikolay potrà prestarsi per la fecondazione? Il progetto estremo ci porterà a toccare momenti di forte tensione emotiva, gestiti dalla regia con la stessa misura estetica distribuita in tutto il film. Le espressioni sono estremamente contenute, le azioni sono al limite del simbolismo. C’è verità e non c’è il “cinema-verità”. Riprese e montaggio si giocano sul difficile equilibrio. Colpisce perfino la capacità di Balagov, di introdurre nella vicenda uno squarcio sociologico, affidando una parte di “inefficace supporto” a Stefan (Konstantin Balakirev) – figura di figlio di mamma borghese – debole corteggiatore di Masha. La “presenza” della Perelygina, difensiva nei sentimenti quanto trasgressiva nelle dimensioni fisiche (Beanpole, “spilungona”), suggerisce senza dire, determina senza strafare, autentico miracolo di affermazione paradossale. [Designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani]
Franco Pecori
9 Gennaio 2020