Ti presento un amico
Ti presento un amico
Carlo Vanzina, 2010
Fotografia Carlo Tafani
Raoul Bova, Barbora Bobulova, Martina Stella, Kelly Reilly, Stefano Dionisi, Sarah Felberbaum, Carlo Gabardini, Paolo Calabresi, Teco Celio, Alessandro Bolide, Fabio Ferri.
Tagliare il personale, zac-zac. Il boss dell’azienda di cosmetici, tedesco di Germania e milanese per lavoro, non vede altro rimedio alla crisi. Chiama Marco (Bova), lo promuove e lo incarica di procedere. Viene alla mente un altro Marco, protagonista nel 2004 di Io volevo solo dormirle addosso, di Eugenio Cappuccio. Il malcapitato (Giorgio Pasotti) veniva incaricato di tagliare in poche settimane un terzo del personale dell’azienda, la compagnia italiana di una multinazionale francese. A distanza di sei anni, la crisi si è aggravata e i Vanzina (come al solito, Enrico collabora alla sceneggiatura – in questo caso si aggiunge anche Francesco Massaro) spostano la scena di partenza a Londra. Siamo in piena attualità, molti sono i giovani italiani che cercano in Europa, e specialmente nella metropoli inglese, una soluzione lavorativa sia pure precaria. Ma il sogno è destinato a durare poco. Proprio all’inizio del film vediamo che Marco resta senza compagna – la ragazza, perso il lavoro, decide di tornarsene in Italia – e da Milano il boss tedesco lo richiama per la “promozione”. Il giovane, bello, prestante e un po’ timido, non sembra adatto al ruolo di “tagliatore di teste”. Infatti i Vanzina si guardano bene dal metterla sul piano della “commedia americana”. Lontano da George Clooney e dai voli Tra le nuvole di quel cinico sforbiciatore aziendale! Converrà procedere a piedi, terra-terra, stando attenti a non complicare il linguaggio. Anzi – dev’essere stata la pensata degli autori – muoviamoci a livello del “fumetto” ultrasempliciotto. Il manager del marketing diventa così il “bravo ragazzo” incapace della pur minima “cattiveria”, proprio il contrario del capo dalle forbici in mano. Saranno le donne, dentro e fuori dall’azienda, a creargli i maggiori impicci. Ma poi, tutto sommato, non sono nemmeno donne “vere”: figurine, piuttosto, che parlano e si comportano come tipi, secondo la scansione di una tipologia semplice, risaputa, facile da individuare anche al primo impatto. Giulia la collega rampante in azienda, Sarah la gallerista inglese appassionata d’arte (tanto per dare un tocco poco poco sofisticato), Gabriella la giornalista televisiva alle prime esperienze, Francesca l’impiegata giovane, la prima da licenziare. È bastato scegliere le attrici in base alla loro “presenza”, non hanno quasi nemmeno dovuto recitare. Attratto dal loro “fascino” a due dimensioni (pronte a lasciare e riprendere i loro uomini al semplice richiamo o rifiuto del belloccio nuovo e occasionale), Marco le incontra entrando e uscendo dal suo nuovo ufficio (luogo di trasparente spaesamento, completamente estraneo alla pur minima verosimiglianza). Ma tutto si tiene comunque, giacché è la qualità espressiva, non altro, a dover far fede. Il rispecchiamento di cui il pubblico (specialmente femminile) è chiamato a fruire è di secondo grado, non riguarda scene di vita quotidiana bensì scene di vita quotidiana già ritagliate e riformulate nella prospettiva più orizzontale delle comunicazioni di massa. Il vero del falso (non è una parolaccia). In questo i Vanzina si dimostrano ancora una volta maestri. Tutto è cominciato molto presto, dopo la prima mezz’ora di Vacanze di Natale.
Franco Pecori
12 Novembre 2010