Alza la testa
Alza la testa
Alessandro Angelini, 2009
Fotografia Arnaldo Catinari
Sergio Castellitto, Gabriele Campanelli, Giorgio Colangeli, Anita Kravos, Duccio Camerini, Augusto Fornari, Pia Lanciotti, Gabriel Spahiu, Laura Ilie.
Roma 2009, concorso. Sergio Castellitto Marc’Aurelio d’Argento al miglior attore
Secondo film di Angelini. Il regista di Aria salata (Giorgio Colangeli miglior attore alla Festa di Roma del 2006) conferma la predilazione per i temi che riguardano il rapporto padre-figlio in un contesto famigliare problematico. Ora il ruolo del protagonista, affidato al bravissimo Castellitto, si fa ancor più centrale, per non dire assoluto, e il contesto si allarga a diversi aspetti dell’immigrazione, con i disagi e le sofferenze di situazioni di vita non ancora risolte. Complessivamente, l’impressione è che sia stata messa troppa carne al fuoco. Dapprima gli elementi della sceneggiatura vanno a confluire verso il nodo centrale, che è psicologico, dell’insoddisfazione di Mero (Castellitto), operaio nautico ed ex pugile dilettante. Abbandonato da Denisa (Lanciotti), madre albanese di Lorenzo (Campanelli, ragazzo la cui faccia fa pensare ad un Al Pacino adolescente), Mero cura l’educazione del figlio in maniera ossessiva, lo vuole pugile, lo allena con passione esagerata, vede in lui il futuro campione che lo risarcirà delle proprie delusioni non solo sportive. «Alza la testa, alza la testa», continua ad ordinargli durante gli allenamenti. Tutta la prima parte è dedicata all’approfondimento progressivo di questo rapporto. Il tono è da commedia italiana, la migliore. Sordi non è estraneo. Castellitto impone la sua personalità di grande attore, maschera mobile con improvvise esplosioni e altrettanto incisive pause d’introspezione. Si delinea un film-prova-d’attore. Ma, al di là della boxe, chiede di entrare in scena anche il mondo circostante. Proprio mentre Denisa insiste per rompere il muro che Mero ha alzato tra lei e Lorenzo, il padre-allenatore si rende conto che, dati i progressi del giovane pugile, è arrivato il momento di affidarlo a mani più esperte. È un primo punto di crisi esplicita. Poi arriva Ana, ragazza romena a “minacciare” la forma fisica di Lorenzo: così la vede Mero. Il padre crede di potersi opporre facilmente alla “distrazione” del figlio. Invece lo perderà. Qui comincia un secondo film, con sviluppi che hanno l’aria di rispondere a necessità narrative e tematiche “esterne” al primo. Le enunciamo senza raccontarle. Il coma irreversibile, la decisione di staccare la spina e di donare il cuore. Il “muscolo” recuperato fa vivere un’altra persona giovane. Dove? A Gorizia, dove il confine è labile. Riguarda Mero? Altra dura prova per lui, per i suoi complessi. Angelini li chiama «ruggine», dice che gli piacciono i personaggi con «la ruggine addosso». Il tentativo è generoso, per la sostanza e per il modo rischioso di elaborarla. Certo, la figura di Sonia (Kravos) che vive con il cuore nuovo la sua vita difficile sarebbe degna di ulteriore sviluppo, ma ci vorrebbe una terza “puntata”. Non si sa mai. Il flash drammatico in sottofinale, della ragazza clandestina che partorisce a rischio della vita in un camion di notte ci dice qualcosa di più sul mondo di Sonia e riaggancia emotivamente il film al destino interiore di Mero. Lo vediamo in un’ennesima azione istintiva prendere il neonato e poggiarlo sul petto della giovanissima madre in coma. Il ring della boxe è ormai lontano. Sonia, operata da soli due mesi, fa riabilitazione in piscina. «Alza la testa», le insegna Mero. Si torna alla commedia da cui si era partiti. Fermiamoci qui.
Franco Pecori
6 Novembre 2009