ACAB – All Cops Are Bastards
ACAB – All Cops Are Bastards
Stefano Sollima, 2011
Fotografia Paolo Carnera
Pierfrancesco Favino, Filippo Nigro, Marco Giallini, Andrea Sartoretti, Domenico Diele, Roberta Spagnuolo, Eugenio Mastrandrea, Eradis Josende Oberto.
“Celerino figlio di puttana”: lo slogan canticchiato o fischiettato o urlato può essere un insulto o un’espressione di orgoglio, dipende da chi a chi. Il Cobra (Pierfrancesco Favino), poliziotto del reparto mobile, lo usa a volte per provocare e a volte per farsi forza nei momenti di maggiore tensione. La vita dei celerini non è facile, è violenta in parte anche per scelta dei poliziotti stessi, spesso costretti ad affrontare situazioni di scontro fisico e spesso – diciamo – sovreccitati ideologicamente. Tuttavia sono uomini anche loro, con i problemi di tutti, con la loro famiglia più o meno instabile, e sono colpevoli/innocenti, secondo il punto di vista. Ed è qui il problema. Un discreto ventaglio di tipi ci è dato dal terzetto formato, oltre che dal Cobra, dal Negro (Filippo Nigro) e da Mazinga (Marco Giallini). Nella loro squadra si aggiunge, ultimo arrivato, la “spina” Adriano (Domenico Diele), il più giovane, che non ha ancora avuto il tempo per “dimenticare” le regole su cui si deve basare il suo lavoro. Negli altri prevale lo “spirito di corpo”, spesso distorto non solo da pregiudizi socio-politici ma pure da incrostazioni caratteriali. Insomma un bel groviglio di motivazioni, superficiali e profonde. Il quadro della strana guerriglia urbana si completa con l’insieme dei “nemici” da affrontare e sistemare, sul filo di una ragione democratica non ben visibile, a dire il vero. Giovani estremisti, stranieri sbandati, gruppi d’assalto difficili da fronteggiare. Qualcuno di loro con la testa rasata da qualche parte del mondo ha coniato un giorno ormai lontano lo slogan: “All Cops Are Bastards”, tutti gli sbirri sono bastardi. Il debuttante Stefano Sollima, figlio del Sergio autore di Città violenta (1970) e Revolver (1973), passa dal successo televisivo ottenuto con la serie Romanzo criminale alla versione cinematografica del romanzo “giornalistico” di Carlo Bonini, mantenendone il titolo, ma confezionando il contenuto in un formato rispettoso delle aspettative del pubblico già consolidatesi nel rapporto col piccolo schermo. Si nota qualche accentuazione più che altro emotiva in alcune sequenze e nella descrizione dei singoli personaggi, sia pure entro il recinto di tipicità inequivocabili. Una certa “equidistanza” critica dalle posizioni dei celerini e dei loro “avversari” nella guerriglia urbana resta nelle intenzioni della sceneggiatura (di Daniele Cesarano, Barbara Petronio e Leonardo Valenti) – significativa, per esempio, la battuta di Cobra in tribunale, per difendersi dalle accuse di violenza: “Ma lei pensa che spaccare la faccia alla gente sia una cosa che mi piace, che mi diverto a farlo?”; nel complesso delle immagini prevale però una “simpatia” decisamente spostata verso i protagonisti del reparto mobile. L'”umanità” che c’è in loro resta purtroppo prigioniera dell’immagine che li rappresenta.
Franco Pecori
27 Gennaio 2012