Maze Runner – Il labirinto
The Maze Runner
Regia Wes Ball, 2014
Sceneggiatura Noah Oppenheim Grant, Pierce Myers, T.S. Nowlin
Fotografia Enrique Chediak
Attori Dylan O’Brien, Kaya Scodelario, Thomas Sangster, Will Poulter, Patricia Clarkson, Aml Ameen, Ki Hong Lee, Blake Cooper, Dexter Darden, Chris Sheffield, Jacob Latimore, Alòexander Flores, Randall Cunningham, Dylan Gaspard.
Promessa di Saga giustifica Mistero, le ragioni-per-cui si troveranno più avanti. Fidarsi. Trilogia, tetralogia, biologia. Sopravvivenza cercata in forme di rappresentazione illusionistica e, in fondo, escatologica, non molto diversa dall’invenzione del tempo lineare. Gioventù senza traguardo, in apparenza, con la sola e confusa consapevolezza dell’esservi, dove, lì ora, al di qua della coscienza, non oltre un innatismo vitale, “naturale”, non orientato. Pare che il target (ma traduci botteghino) sia delimitato alla fascia d’età “young adult”, tra i 14 e i 21 anni, i milioni di giovani che oggi non sanno la ragione del non-sapere e vivono un’ansia del conoscere post-illuministica, post-romantica, post-esistenzialista, post-sociologica, tecno-post-tecnologica, pronti per essere infornati nel forno dell’obbedienza, la cui voragine si apre attraendone progressivamente la tendenza verso l’altrove, faccia inversa e complementare del qui-ora. Che il più Grande di tutti ci protegga e ci salvi, è la preghiera implicita e via-via sempre più anche esplicita, armi permettendo. Un ascensore sale non sappiamo da quale abisso e porta in sé un ragazzo tramortito, smemorato, inconsapevole. Thomas (Dylan O’Brien, piace molto alle adolescenti senza un perché) si ritrova in una radura, in compagnia di un certo numero di coetanei, arrivati lì con le medesime modalità, uno al mese. Fidarsi. Non è una radura, ma la Radura. Il mondo ridotto ad unicum. Così è. Si farà presto a rendersi conto che, come in ogni “collegio/comunità” si siano formate gerarchie e vi siano regole da rispettare. Alle regole tiene in particolar modo Gally (Will Poulter), esercitando sugli altri un’autorevolezza piuttosto deboluccia e tuttavia sufficiente a far sì che ciascuno mantenga le proprie mansioni e, soprattutto, non si sogni di uscire dalla condizione presente. La condizione è definita e delimitata anche fisicamente da un muro circolare e ciclopico, al di là del quale si sviluppa, secondo un disegno misterioso, un labirinto terribile, lungo i cui corridoi si lamentano orribilmente creature più cinematografiche che reali, dette nientedimenoche Dolenti. Si tratterà, com’è intuibile, di sciogliere, prima o poi, il nodo strategico: starsene buoni-buoni nella Radura senza farsi troppe domande e ritagliandosi un proprio e passabile agio minimo di sopravvivenza, oppure cercare di rompere il sistemino coercitivo e, rischiando un po’ di ignoto, riconquistare spazi e prospettive che, almeno momentaneamente, sembrano essersi annullate per motivi tutti da chiarire? Inutile far finta di niente, la rappresentazione fa parte di un contesto, dato anche per scontato, simil-reale e comunque cinematografico – la prima cosa che viene in mente è quella specie di paradiso terrestre al contrario che si chiama Hunger Games. Manca dunque una figura femminile. Ed eccola, sbuca, ospite non inattesa, dal nulla fittizio della saga protettrice – a scriverla, in forma di trilogia, ci ha pensato un certo James Dashner e sembra proprio che già nel primo libro, Il labirinto, la ragazza Teresa (Kaya Scodelario) abbia subito un caratterino niente male, pronta a farsi coprotagonista accanto all’attraente O’Brien. Attenzione però, niente eroismi, non si tratterà di salvare il mondo dal progetto di un malfattore perverso. Non v’è aria di colpe da redimere. Tutto è soft, come esige ormai lo stesso dominio del software. L’epoca dei fumetti “violenti” per bambini giapponesi abbandonati dalla mamma danti alla tv è tramontata definitivamente. Prendere la condizione morbida della Radura così com’è, almeno per il momento. Magari, tenersi allenati, da Corridori pronti al servizio, se un domani là fuori si aprisse uno spiraglio di altre felicità. Tradurre simili concetti in spettacolo buono per i nuovi mezzi tecnologici non era semplice. Dalla pagina scritta al thriller fantascientifico il passo s’è dimostrato non breve né facile. Tuttavia gli sceneggiatori, lo scenografo Marc Fisichella e il regista hanno trovato l’accordo giusto (soft, ovviamente) per ottenere il modo “scontato”, quasi-tranquillo, del vivere la non-vita che è la cifra stilistica e rappresentativa della Radura, un mondo circoscritto con-accanto il labirinto della vita-altra, difficile e rischiosissima da risolvere. Insomma, ragazzi, crescete pure ma con calma, senza massacrarvi in rivoluzioni pericolose e inutili. Il labirinto si aprirà.
Franco Pecori
8 Ottobre 2014