Un gioco da ragazze
Un gioco da ragazze
Matteo Rovere, 2008
Chiara Chiti, Desirée Noferini, Nadir Caselli, Stefano Santospago, Giorgio Corcos, Valeria Milillo, Franco Olivero, Elisabetta Piccolomini, Tommaso Ramenghi, Chiara Martegiani, Chiara Paoli, Diana Albo, Eleonora Ceci, Daniela Fontani, Filippo Nigro, Cecilia Carponi, Pietro Matteucci, Flavio Nuccitelli.
Festival Internazionale del Film di Roma 2008, Concorso.
Ancora i giovani adolescenti. Ma questa volta la nuova generazione è raccontata al femminile e sul registro drammatico. Per il cinema italiano degli ultimi anni, una novità. E nella novità, la bravura dell’esordiente Chiara Chiti, che interpreta con sicurezza e quasi con sfrontatezza la diciassettenne “cattiva” e disperata. La prima parte del film è già esauriente rispetto al senso di una società provinciale, ricca e insensata, che sforna figli “vuoti”, disorientati. Elena (Chiti), Michela (Noferini) e Alice (Caselli) formano un terzetto “terribile”, organizzato in un sistema “autosufficiente” di trasgressioni autopunitive prima ancora che deflagranti. L’ambito operativo è costituito principalmente dalle serate in discoteca, pasticche, alcol e sesso. Il resto, la famiglia e la scuola, non sono che momenti di noiosa attesa e di amaro scietticismo verso un mondo “assurdo” col quale non vale la pena di comunicare. Tutto è cifrato, parole e gesti: le tre ragazzine si muovono come automi programmati da una mente non tanto “perversa” quanto estranea, esterna. E urlano, le ragazzine. Urlano e sbraitano tra di loro, quasi “contaminate” da un virus sconosciuto in un horror fantascientifico. Mancano i morsi, ma sono sufficienti gli sguardi. Il ritmo binario delle pulsazioni musicali ad alto volume fa il resto. Cioè mette noi, poveri essere pensanti, nell’incubo di una domanda: quale pensiero per queste ragazzine? Quale linguaggio? L’interrogativo viene in un certo senso esplicitato dalla seconda parte del film. Rovere, che proviene da un brillante inizio nei corti, si lascia coinvolgere dal romanzo di Andrea Cotti e dà spazio al giovane professore di italiano (Nigro), il quale prova a entrare in comunicazione con le allieve, specialmente con la leader Elena. Convinto di poter incidere sulla loro educazione, è destinato a finire vittima del “gioco da ragazze”. Il pericolo è che il tema scuola e scuola-famiglia si impossessi del film e ne faccia un prodotto da dibattito, buono per la televisione. C’è infatti il rischio di dimenticare la prima parte, in cui l’occhio della cinepresa rappresenta in modo spietato il senso di una realtà che appare “non recuperabile” secondo parametri usuali. Il regista ha detto di aver pensato, oltre che a certi fatti di cronaca, al cinema di Gus Van Sant (Elephant). Il livello estetico è diverso, ma il riferimento può essere pertinente. Ed è sempre meglio sprovincializzarsi che continuare a celebrare i maestri della commedia italiana.
Franco Pecori
7 Novembre 2008