La dura verità
The Ugly Truth
Robert Luketic, 2009
Fotografia Russell Carpenter
Katherine Heigl, Gerard Butler, Eric Winter, John Michael, Nick Searcy, Kevin Connolly, Cheryl Hines.
Se volete la “dura verità” sulla vostra vita o su quella di altri non andrete certo a cercarla in un reality show, a meno che non siate un perfetto spettatore televisivo identificabile al cento per cento nel target del format appositamente studiato per lui, il perfetto. In base a simile ipotesi potete regolarvi sullo strato dell’interpretazione di questa commedia di Luketic (La rivincita delle bionde, 2001, Quel mostro di suocera, 2005, 21, 2008). Un po’ facile, a prima vista, ma provate a sollevare l’orpello e avrete di che esercitarvi in una lettura del senso più articolata. Questo, intanto, è ciò che accade quando il prodotto è ben confezionato, nella sceneggiatura, nella recitazione e insomma nella fase tecnica. Qui i due protagonisti sembrano nati per i ruoli loro assegnati. Abby/Heigl (The Ringer, Molto incinta, 27 volte in bianco) è la produttrice di un programma Tv di provincia («Buongiorno – esclama il conduttore – è un’altra splendita giornata a Sacramento!») che perde colpi in ascolto. Mike/Butler (Tomb Raider, Il fantasma dell’Opera, 300) è un incantatore di spettatori avidi di “verità” sul sesso e più in generale sui rapporti uomo-donna. Abby se lo trova accanto, chiamato dall’emittente per dare una scossa al programma: è uno che sembra dire pane al pane, anche in maniera sboccata. Lei è una fissata del “controllo”, frasi fatte e concetti pure. Le sue idee standard non sembrano adatte a sollevare lo share, così l’arrivo di Mike si mostra decisivo. La manager ha rischiato di finire nuda alle previsioni del tempo ed è costretta ad ammorbidire le proprie concezioni. E non solo sul set televisivo ma anche nel privato. La comparsa di Colin/Winter, giovane medico e bello, richiede l’aiuto dell’esperto in seduzione. Mike è chiamato alla consulenza interessata: guiderà Abby nella conquista di Colin e potrà evitare di subire l’ostilità della donna sul lavoro. Poco a poco si delinea tra i due un rapporto intrigante, soprattutto si capisce che la “resistenza” di Abby alle “dimostrazioni” di Mike (l’uomo esibisce, in scene come fuori scena, una sicurezza sfrontata e demolitrice delle convenzioni comportamentali femminili e maschili) non potrà andare all’infinito. Guerra dei sessi? Meglio, disvelamento dei meccanismi, morale e costume, che determinano la “normalità” del contest. E al contempo, confronto sofisticato e seminascosto tra “vita” e sua finzione, la diretta tv e tutto ciò che lo spegnersi delle telecamere lasciano alla “libertà” delle persone. Considerate inoltre che la doppia tematica è svolta nel cinema, il che la riattiva – per così dire – nel film, ad ogni cambio di scena. Se la psicologia dei personaggi è elementare, ciò non significa che i risvolti del senso restino altrettanto “poveri”. Vi meraviglierete se, ad un certo punto, Mike diventerà «selettivo» e Abby una «troietta»? Attenzione perché Sacramento si rivelerà comunque «un posto ideale per mettere su famiglia».
Franco Pecori
27 Novembre 2009