The Box
The Box
Richard Kelly, 2009
Fotografia Steven B. Poster
Cameron Diaz, James Marsden, Frank Langella, James Rebhorn, Holmes, Osborne, Sam Oz Stone, Gillian Jacobs, Celia Weston, Deborah Rush, Lisa K. Wyatt, Mark Cartier, Kevin Robertson, Michele Durrett, Ian Kahn, John Magaro, Basil Hoffman, Sam Blumenfeld, Ryan Woodle, Frank Ridley, Michael Zegen, Kevin DeCoste.
Inferno e Paradiso non sono idee dell’altroieri. Portano con sé il carico drammatico della Conseguenza da quando l’umanità ha cominciato ad identificarsi coscientemente con Adamo ed Eva. Ciò per dire che l'”estremismo” di un racconto come quello di Richard Matheson, da cui il film di Kelly, non si avvantaggia di una specifica caratterizzazione “contemporanea” se non per il suo carattere “realistico” e cioè per il semplice adeguamento della casistica che lo sottende ad una quotidianità usuale. L’adeguamento è ammantato di “mistero” attraverso l’assunzione di elementi generici (modi di dire, diremmo per la lingua) presi a prestito dal cinema fantascientifico/fantahorror, i quali si rivelano di non essenziale valenza sul versante del senso. Il tema del “mettersi in gioco” con esplicito rischio lo abbiamo già visto al cinema. Tra gli “incontri” patteggiati con la Morte, uno per tutti Il settimo sigillo, rappresentato con arte e con ben altra capacità di definizione circostanziale da Ingmar Bergman (1956). Con il Box di Kelly non mancano certo le differenze di contenuto. Intanto, la proposta del dono di scambio: la scatola che ti arriva a casa come fosse un regalo di Natale non è richiesta dal ricevente. Si presenta un signore vestito di nero (Langella, magnifica la sua interpretazione), distinto ed elegante, col volto orrendamente sfigurato, e spiega: un pulsante, un milione di dollari se verrà premuto. Conseguenza: una persona sconosciuta morirà in qualche parte del mondo. La decisione spetta a Norma (Diaz) e Arthur (Marsden), moglie e marito con un figlio. Vivono a Richmond, in Virginia, lei insegna in un liceo, lui è un ingegnere della Nasa. Dramma incombente, scelta che appartiene alla sfera morale, ripercussioni che si intuiscono gravi, profonde e “vicine”. Qualche particolare “inquietante” complica la ricerca di una chiave interpretativa, ma basterà non tenerne conto. Il succo resta nel tema morale. Sembra che qualcuno si stia divertendo ad impiantare un test sul “libero arbitrio”. Siamo nel 1976, molto prima delle Torri Gemelle e dell’Iraq, dopo il Sessantotto, ma non tanto dopo da escludere una vaga scia di influenze “floreali”e di religiosità rappresentabile in immagini del tipo: «Una luce, un posto che non è qui né là ma in mezzo». Già, perché anche dal punto di vista emozionale, le componenti “thriller” ad un certo punto si confondono con intrusioni di vaga allegoria e si finisce per perdere il filo. Chi è quel signore in nero? Sembra che stia eseguendo un’esperimento su larga scala, non per proprio conto bensì mandato da qualcuno. In Bergman la Morte aveva un volto più definito. C’era una volta Donnie Darko (2001), il film d’esordio col quale Kelly arrivò a Venezia. Ora dalla scatola non esce Frank, il coniglio gigante che predice la fine del mondo, e invece quel pulsante sprigiona un sadismo confusionario che mal si concilia con le necessità del mondo, di questo mondo ridotto qual’è, del mondo che ha bisogno di chiarezza nella denuncia delle cause e non solo nella rappresentazione delle conseguenze del Male.
Franco Pecori
21 Luglio 2010