Guida per riconoscere i tuoi santi
A guide to recognizing your saints
Dito Montiel, 2006
Fotografia Eric Gautier
Robert Downey Jr., Shia LaBeouf, Chaz Palminteri, Dianne Wiest, Channing Tatum, Rosario Dawson, Melonie Diaz.
Sundance: regia. Venezia: premio Settimana della Critica.
I santi all’inferno. E’ possibile? Nell’inferno del quartiere Astoria, nel Queens, a New York, è possibile. E’ una delle estati più calde, quella del 1986. Bande di ragazzi vanno per le strade senza un orientamento apparente, insofferenti delle proprie case, delle proprie famiglie diseredate. La loro drammatica solitudine, il senso di abbandono che li avvolge ne rende come distorto, troppo ravvicinato, lo sguardo sul mondo. Uno di loro, Dito (LaBeouf), riuscirà a fuggire in California. Dito è Dito Montiel, regista al suo primo film, di padre nicaraguense e di madre irlandese, cresciuto tra gli italiani e i greci di Brooklyn e migrato poi a Manhattan, tra i poeti e gli artisti in voga. Ora Dito (Downey Jr.) ritorna nei luoghi dell’adolescenza, a trovare il padre (bravo Palminteri), che non ha più voluto saperne di lui e che è molto malato; ritrova anche la madre (Wiest) e Laurie (Dawson), la donna che da ragazzina (Diaz) lo fece innamorare; e ritrova, in carcere, Antonio (Tatum), l’amico più ribelle e violento. Sono i “santi” che Dito si porta dentro, li ha lasciati tutti, ma loro non hanno lasciato lui. Dai frantumi di una realtà frantumata, Montiel, premiato al Sundance per la regia e a Venezia nella Settimana della critica, rianima le sensazioni giovanili di un’epoca troppo dimenticata e le cui forme sociali, nel panorama sconsolato dei conflitti e delle contraddizioni che viviamo, paiono difficili da riconoscere. Ri-conoscere è la parola giusta, da intendersi nel senso profondo, di una società globale che accumula immagini e pensieri standardizzati, sempre più deboli e impotenti a fronte dei mille problemi, tutti decisivi, da risolvere. Montiel ha sostanziato di sensibile umanità il proprio film, utilizzando, senza esibirlo, uno stile-verità, che va preso non tanto come “dimostrazione” di realismo quanto come documento di onestà artistica e intellettuale. C’è un momento, quando Dito, tornato dal padre, prova per lui ancora un sentimento di rifiuto; e la madre, disperata, lo rimprovera: «Come puoi amarlo nel tuo libro e non vederlo per così tanto tempo?» Qui l’arte è chiamata a esprimere e definire la necessaria distanza (libertà) dalla realtà concreta. E il regista merita il premio.
Franco Pecori
9 Marzo 2007