47 Ronin
47 Ronin
Regia Carl Rinsch, 2013
Sceneggiatura Chris Morgan, Hossein Amini
Fotografia John Mathieson
Attori Keanu Reeves, Cary-Hiroyuki Tagawa, Hiroyuki Sanada, Kou Shibasaki, Tadanobu Asano, Rinko Kikuchi, Jin Akanishi, Togo Igawa, Rick Genest.
Le radici profonde della storia e della cultura giapponese restano sotterrate e misteriose in questa riduzione spettacolare di un grande fatto del XVIII secolo divenuto leggendario. La chiave centrale di lettura riguarda un concetto di onore che lo spettatore di oggi, estraneo alla tradizione nipponica, può trovare di non facile comprensione. In certi casi, per esempio, il massimo riconoscimento che potesse essere concesso per un certo comportamento “corretto” all’interno di una trasgressione non ammessa era il darsi la morte in maniera rituale, con la propria mano. E’ il destino che attende, per un gran finale scenico, i protagonisti eroici della vicenda, ristrutturata decisamente all’americana (anche con una spruzzata di western classico) dagli sceneggiatori del film, dedicato appunto al gruppo di allievi samurai, il problema dei quali è vendicare l’uccisione del proprio maestro da parte di Lord Kira (Tadanobu Asano). Con a capo Kuranosuke Oishi (Hiroyuki Sanada), i 47 accolgono tra di loro (ma l’integrazione non sarà semplice) il mezzosangue – inglese/giapponese – Kai (Keanu Reeves). L’annessione sarà decisiva nei ripetuti scontri bestiali, quando le spade affideranno la loro efficacia agli effetti speciali e quando la foresta si animerà (in 3D, sebbene in maniera non specialmente estetica) di mostri, di giganteschi avversari e di streghe – particolarmente malefiche le evoluzioni aggressive di Mizuki (Rinko Kikuchi). Non mancherà l’attrazione sentimentale, contenuta nei limiti forzosi della costumistica d’epoca, tra il valoroso Kai e l’affascinante Mika (Kou Shibasaki), figlia del maestro samurai assassinato e promessa sposa a un principe per il quale prova ovvio disgusto. I due innamorati si daranno appuntamento per le prossime diecimila vite, in altrettanti mondi a venire. Complessivamente, il racconto sembra nascondere una confusione di sostanza, segno forse di una non approfondita comprensione del contenuto storico. Il risultato è una traduzione non specificamente giustificata in una figurazione fantasy che finisce per togliere energia al senso, senza per altro regalare all’occhio speciali novità espressive.
Franco Pecori
13 Marzo 2014