Venerdì 13
Friday the 13th
Marcus Nispel, 2009
Jared Padalecki, Danielle Panabaker, Amanda Righetti, Travis Van Winkle, Derek Mears, Aaron Yoo, Julianna Guill, Willa Ford, Ryan Hansen, Jonathan Sadowski, Ben Feldman, Nick Mennell, America Olivo, Nana Visitor.
Perché quel gigantesco energumeno di Jason Voorhees (Mears) ce l’ha tanto con chiunque si inoltri nel territorio da lui controllato, il bosco di Crystal Lake con i suoi cottage dismessi? Perché vuole demolire uno dopo l’altro quel gruppo di giovani in gita? Sono da ammazzare perché sono sciocchini? Lungi da noi simili aberrazioni ideologiche, né d’altra parte intendiamo psicoanalizzare lo spettatore indagando sulle sue identificazioni, o sulle ragioni per cui prediliga questo sottogenere di horror. Provi comunque, intanto, a confrontarne le strutture con quelle di altri generi, il western, la commedia, il musical, il thriller, scegliendo esempi classici. Si accorgerà almeno di una differenza di fondo, che film come Ombre rosse, Accadde una notte, Seguendo la flotta, Il sospetto è impossibile scambiarli con la “realtà”: gli autori (il cinema d’autore nei generi!) utilizzano in maniera rigorosa i rispettivi codici narrativi ed espressivi, non rinunciando per questo a lasciare le loro impronte (perfino ideologiche) sul terreno della tradizione. Il film di Nispel (già rifacitore, nel 2003, del Tobe Hooper di Non aprite quella porta, 1974) riprende il filo della leggenda di Jason, nato una sessantina di anni fa in un venerdì 13 giugno e protagonista di una decina di titoli, dal Venerdì 13 di Sean Cunningham (1980) in poi, con un prologo introduttivo di cui in verità si poteva fare a meno. Infatti siamo semplicemente chiamati a seguire una catena ripetitiva di “assalti con macete”, organizzati secondo una sequenzialità così prevedibile da sembrare anche provocatoria. Per il senso del film, il regista mostra così di affidarsi anima e corpo ai precedenti. Ciò deporrebbe a favore di una facile lettura nel solco convenzionale. Senonché la “protezione” del codice svanisce man mano che traspare l’intento di Nispel, di praticare una sorta di realismo spinto, in cui le esagerazioni horror sfondano il limite della verosimiglianza interna alla narrazione per debordare nella stessa “realtà” del vissuto comune. E allora non si tratta tanto di un aggiornamento della struttura “Jason” quanto piuttosto della cancellazione della leggenda: Jason esce dalla scena, diviene “osceno” e invade le nostre coscienze percettive, proponendosi come minaccia “presente”, non artistica. O, in altri termini, infantile: di un’infanzia mostruosa, povera di fantasia.
Franco Pecori
13 Febbraio 2009