L’ultimo inquisitore
Goya’s Ghosts
Milos Forman, 2006
Javier Bardem, Natalie Portman, Stellan Skarsgård, Randy Quaid, Michael Lonsdale, Josè Luis Gomez, Mabel Rivera.
Grandi personaggi travolti dalla Storia. Francisco Goya (Skarsgård), il pittore del re di Spagna, ammesso a Palazzo Reale, ritrae i regnanti e i frequentatori della Corte; ma vive anche per le strade e nelle taverne, sicché le sue opere sono il quadro dell’epoca, fine Settecento, giorni esasperati e di trapasso. Forman, però, non ama le biografie al cinema e preferisce allargare lo sguardo, approfondire il giudizio. Il periodo che prende in esame gli ricorda per certi versi l’oppressione comunista in Cecoslovacchia. Nel 1792, quando comincia il film, l’Inquisizione spagnola tocca un punto di massima reazione, per via del vento rivoluzionario proveniente dalla Francia. Francisco può verificare da vicino la stretta dell’intolleranza, operata proprio da uno dei suoi clienti, Fratello Lorenzo (Bardem), spietato opportunista, il quale, all’arrivo delle forze napoleoniche sarà pronto alla “conversione” libertaria. Goya è testimone diretto del malvagio esercizio che il prelato fa del potere derivantegli dal Sant’Uffizio. Infatti, una delle modelle del pittore, Ines (portman), viene fatta arrestare con la falsa accusa di ebraismo, viene torturata, violentata e resa madre dallo stesso Lorenzo, il quale poi la farà rinchiudere in un orribile manicomio. La sceneggiatura di Jean-Claude Carrière (già collaboratore di Buñuel e della stesso Forman) tenta il “miracolo” di un’ottica multistrato, facendo salire di volta in volta in primo piano le storie individuali e il contesto da cui derivano, con un’attenzione sia alla psicologia dei personaggi sia alla loro presenza plastica, corporea. Il film si sviluppa per una buona metà con discreta coerenza, secondo un buon equilibrio di situazioni e di forme. Procedendo però verso il finale, Forman piega sul facile, tanto che i protagonisti perdono peso e lasciano posto a figurazioni simboliche di largo effetto, un po’ come si sarebbe fatto per un romanzone ottocentesco.
Franco Pecori
13 Aprile 2007