L’inganno perfetto
The Good Liar
Regia Bill Condon, 2019
Sceneggiatura Jeffrey Hatcher
Fotografia Tobias A. Schliessler
Attori Helen Mirren, Ian Mckellen, Russell Tovey, Johannes Haukur Johannesson, Jim Carter.
Inglese o tedesco? La differenza non è da poco, forse. Lo spettatore avrà modo di riflettere, procedendo nel cammino lungo cui lo conduce Bill Condon (New York, 1955), regista che viene da esperienze qualificanti e disparate (dall’horror all’intrigo internazionale supertecnologico, al giallo e al fantasy), ciascuna in modo diverso suggestiva per un mondo intriso di aspetti implicitamente intringanti in una prospettiva non solo immaginifica – Twilight Saga: Breaking Dawn 1 e 2, Il quinto potere, Mr. Holmes, La Bella e la Bestia. Nel caso di quest’ultimo lavoro, presentato al Torino Film Festival 2019 (sezione Festa Mobile), la memoria di un uomo e/o di una donna è anche la memoria del mondo. Un’ovvietà. E però il modo di raccontarla ci attrae verso un’indagine sui livelli della menzogna di cui può nutrirsi la fase critica di singole vite passate attraverso fasi tragiche della Storia. Diciamo la Porta di Brandeburgo a Berlino, oggi e nel 1945. Nel film si confrontano due personaggi legati da un istinto di difesa e votati all’inganno, nella consapevolezza di una fatale precarietà reciproca, un equilibrio drammatico e speculare i cui tratti andremo scoprendo di sequenza in sequenza, di stanza in stanza, al seguito di un racconto che mescola sapientemente dosi di “leggerezza” quasi romantica e sorridente ma ingannatrice a fasi rivelatrici di “necessità/virtù”, intrise purtroppo di dolore pregresso non solo individuale. La scelta di due grandi attori è stata più che opportuna. Roy Courtnay (McKellen) e Betty McLeish (Helen Mirren) s’incontrano oggi per un gioco “social”: due persone anziane che non hanno perso la voglia di vivere e nemmeno di indagare sulle bugie, proprie e dell’altro, consapevoli ciascuno del possibile grado mistificatorio che certi contatti possono avere nel web (non per una specificità del web, chiaro). E già qui lo spettatore è invitato alla discrezione. Staremo a vedere, non lasciamoci troppo prendere dalle apparenze “simpatiche”. E nemmeno dalla verosimiglianza della messinscena. Roy è un truffatore esperto. Betty è una vedova piena di soldi. Lui si allena con certi russi promettendo rientri di dieci volte rispetto a “sicuro” investimento. C’è chi lo fa e pare funzioni ancora. Con Betty McLeish sarà meno facile, la recita comporta una finzione più raffinata, deve entrarci anche un versante “affettuoso”. Per un lungo tratto non sappiamo il limite di autenticità, poi il film vira decisamente in direzione Hitchcock. Veniamo messi al corrente del passato, con flash che aiutano a capire i motivi anche personali e intimi che spingono lui e lei a rischiare fino in fondo. Emerge un amore adolescenziale nello scenario drammatico e sconvolgente della tragedia nazista. Poco e troppo, forse, per quello che nella prima parte era parso un gioco magari perfido e tuttavia gradevole. Affiora una piega meccanica tra le pagine della sceneggiatura. Bravura comunque senza confine dei due interpreti, a tenere il narrato sul filo di un’ambiguità etica in forma estetica, secondo una sostanza del fare piena di cinema e nutrita di coscienza del dire. Ripugnanza e simpatia si guardano negli occhi, combattono una battaglia difficile, durissima, per una guerra imprescindibile, se si voglia vivere nonostante tutto. Così pare.
Franco Pecori
5 Dicembre 2019