Oblivion
Oblivion
Regia Joseph Kosinski, 2013
Sceneggiatura Karl Gajdusek, Michael Arndt, William Monahan, Joseph Kosinski
Fotografia Claudio Miranda
Attori Tom Cruise, Morgan Freeman, Olga Kurylenko, Andrea Riseborough, Nicolaj Coster-Waldau, Melissa Leo, Zoe Bell.
Via dalla Terra. E chi si ricorderà più del mondo com’era? Il nostro Pianeta ancora simile al Paradiso Terrestre di cui, raccontavano, sarebbe stato la diretta prosecuzione, con la sola conseguenza limitativa dovuta a quello che chiamavano il Peccato Originale… Quando il “come eravamo” avrà preso dimensioni cosmiche, sentimenti quali la nostalgia saranno talmente affievoliti che non saremo più in grado di aspirare al recupero della dimensione umana? Pericoli di disperazione. Contro di essi l’arte tenta di farsi scudo, rappresentando “miracoli” spettacolari, a volte in forma cinematografica. Joseph Kosinski, il regista di Tron Legacy (2010), va a pescare nel profondo della Memoria collettiva e persegue un’idea creativa ispirandosi al fumetto di cui è coautore insieme ad Arvid Nelson. Potrà succedere, immagina, che “vediamo” accadere cose e vivere persone e ci troviamo coinvolti in uno stato di reinvenzione del tempo e della visione, in modo che non riusciamo più a distinguere premonizioni da ricordi, speranze da rimpianti, progetti da realizzazioni. Tutto è leggero, aereo, azzurro chiaro e trasparente, velato appena di grigio (fotografia del premio Oscar per Vita di Pi), nella zona sopra le nuvole, dove gli ultimi rimasti a controllare la Terra si trattengono per il tempo della missione residuale, a ripulire e recuperare oggetti tecnologici, soprattutto i droni (robot comandati a distanza), lasciati laggiù da quanti ormai si sono trasferiti verso Titano e verso altri paradisi. Nel 2077, il vecchio Pianeta non è che un sito della rottamazione, ruderi oggettuali sparsi testimoniano di una civiltà in disuso, segno di una guerra definitiva vinta da chi poi se ne andò verso altri mondi lasciando ad alieni oscuri il dominio senza più valore. Eppure… eppure… Il riparatore Jack Harper (Tom Cruise) con la sua collega Vika (Andrea Riseborough) esegue con cura la ripulitura del Pianeta, ritocchi senza troppa importanza prima di andar via per sempre. Per Cruise, il passo da Minority Report (2002) a qui non dev’essere poi stato troppo lungo. E in fondo, il cuore “antico” del Top Gun (1986) non ha mai smesso di battere. C’è di nuovo, però, un oggetto che piove da un cielo sconosciuto, una navetta che contiene un’urna e da quell’urna una donna (Olga Kurylenko) “rinasce”. Da dove viene? Si chiama Julia o si chiama Camille? La ricordiamo accanto al Craig/Bond di Quantum of Solace, ma quello era un film ed eravamo nel 2008. Ci sembra anche di ricordare un altro improvviso arrivo da un mondo “oltre”, una dolce Eva ecologista che faceva innamorare lo “spazzino” Wall-E settecento anni avanti nel tempo, in un mondo anche quello abbandonato dai nostri simili. Ma era un’animazione Pixar-Disney. Ora siamo nel passato o nel futuro? L’occhio della cinepresa è curioso e ci mette a parte – noi che siamo non meno curiosi – di alcuni flash che fanno l’effetto di certi sogni-lampo, quando al risveglio la mattina ci sembra istantanea e tutta la vita senza tempo si presenta improvvisa e rivelatrice ai nostri occhi e alla mente. La pagina di un vecchio libro, una canzone che ci fu cara, la copertina di un LP e il disco che gira, il quadro di una vita in pace, nel verde con l’amore di una donna e la certezza dei bambini… tutto ci sembra così limpido e confuso nella smemoria futura. Se tenete conto che simili turbamenti occupano la testa di Jack mentre intorno a lui s’affacciano minacce di agguati micidiali non del tutto risolti (scavengers alieni si aggirano per i luoghi in apparenza deserti); e che l'”empireo” provvisorio della celestiale piattaforma super attrezzata e sospesa a migliaia di chilometri dalla Terra garantisce sì relativa sicurezza, ma per ancora pochi giorni prima del trasferimento in altri mondi, capirete la fascinazione di quella specie di elastico mentale che, al di là delle invenzioni e delle ingegnose (a tratti ingegneristiche) rappresentazioni fantascientifiche, traccia le linee di un viaggio ondivago, durante il quale nella mente del protagonista c’è posto per il ritrovamento o per la perdita di sentimenti e di aspirazioni. E’ un viaggio dove, alla ricerca del tempo perduto, non si esaurisce la primitiva tensione dell’uomo verso “sistemazioni” oltre l’avventura e infine tranquillità dopo il diluvio. E’ un futuro da conservare, un passato da recuperare? Direte che per tutto questo la maschera di Tom Cruise può sembrare non proprio all’altezza? Ma è qui il bello del film, nella fusione, fantascientifica appunto, di un piano “elettrotecnico” dell’evoluzione con l'”ingenuità” del gioco inconsapevole: navicelle vanno e vengono, inseguimenti e scontri robotizzati si alternano con corpo-a-corpo antidiluviani, ricordi e anticipazioni riformulano continuamente lo sguardo dell’uomo che mira al proprio destino cercando coscienza nel mentre, mentre il giocattolo si fa verità. L’unica possibile, stando così le cose.
Franco Pecori
11 Aprile 2013