Vulcano
Ixcanul
Regia Jayro Bustamante, 2015
Sceneggiatura Jayro Bustamante
Fotografia Luis Armando Arteaga
Attori : María Mercedes Croy, Maria Telón, Manuel Antún, Justo Lorenzo, Marvin Coroy, Leo Antún.
Premi: Berlino 2015, Orso d’Argento.
Lontano e vicino. L’ottica antropologica, applicata molto più spesso (e non dovrebbe essere un tipo di lettura da considerarsi scontata) verso popoli e storie meno vicine al circuito cui appartiene il mondo più “evoluto”, porta il regista guatemalteco – formatosi a Parigi e a Roma e autore di numerosi e premiati corti – a trattare con pieno rispetto e con stile poetico il tema del suo primo lungometraggio, ambientato nella terra dei Maya, fra i membri della comunità Kaqchikel. La storia di quella terra dice che negli anni ’60-’90 del secolo scorso, mentre con apprezzabili campagne sanitarie (ne fece parte la madre dello stesso regista) si cercava tra l’altro di convincere le donne a vaccinare i loro bambini, altri personaggi dal carattere molto meno umanitario svilupparono il traffico di minori, facendo del Guatemala il principale paese esportatore di bambini nel mondo. Nel film siamo in una piantagione di caffè, alle falde di un vulcano attivo. Si racconta la storia di una ragazza diciassettenne, destinata secondo tradizione a un matrimonio combinato ma innamorata di un giovane lavoratore col quale forse potrà fuggire fino a New York. L’ambiente, le usanze, le credenze, la semplicità complessa dei comportamenti sono parte integrante della storia d’amore di Maria (Maria Mercedes Coroy) e di Pepe (Marvin Coroy). La cura con cui la madre della giovane gestisce i movimenti rituali nel quotidiano non è separabile dal consapevole affetto non solo per la figlia bensì verso i destini di tutta la famiglia. L’espressione delle emozioni e dei sentimenti è, rispetto alle culture meno costrittivamente “controllate” nei gesti, più ricca nella produzione simbolica forte, nella sintesi anche drammatica delle scelte. La vicenda amorosa è immersa nel paesaggio naturale pieno di insidie attinenti alla religiosità antica e proprio attraverso un incidente che capiterà a Maria, abbandonata incinta dal sognatore in fuga, nella piena contraddizione di necessità e speranza (i campi sono infestati dai serpenti e la semina è a rischio), avremo il disvelamento della trappola affaristica. L’agguato arriva da quella “civiltà” evoluta capace di salvare vite in pericolo ma propensa a lasciare libertà di azione a malfattori che chiedono all’inconsapevole ragazza analfabeta di firmare (con l’impronta digitale) il permesso di occuparsi del futuro del neonato. Jayro Bustamante si muove con ammirevole equilibrio tra poesia e documento, rispettoso delle premesse e delle implicazioni non solo espressive della storia che ha scelto di raccontare, senza tuttavia rinunciare a rendere “animato” il senso della denuncia, tanto da estrarne l’implicita autonomia estetica. Bravissimi gli interpreti, gente comune trasformata in attrici e attori.
Franco Pecori
11 Giugno 2015