Whiskey Tango Foxtrot
Whiskey Tango Foxtrot
Regia Glenn Ficarra, John Requa, 2016
Scenaggiatura Robert Carlock
Fotografia Xavier Pérez Grobet
Attori Tina Fey, Margot Robbie, Martin Freeman, Alfred Molina, Billy Bob Thornton, Christopher Abbott, Nicholas Braun, Stephen Peacocke, Sheila Vand, Evan Jonigkeit, Fahim Anwar, Josh Charles, Cherry Jones, Scott Takeda, Eli Goodman, Brandon K. Hampton.
In Afganistan con leggerezza. Ci sono americani che ormai la presenza delle truppe Usa a Kabul e dintorni la prendono quasi a ridere. In una scena del film, un militare in tenuta da combattimento è costretto a far presente ai civili che il colore della propria pelle è nero e che i russi erano lì qualche anno prima. Il tizio annuisce e poi avverte i suoi: «Ora i russi sono neri». Ma il tono dell’episodio non tragga in inganno. Le scene sul campo, città e deserto, sono girate con una certa coerenza realistica, almeno relativa allo standard “documentario” già consolidato – scoppi di bombe, sparatorie, agguati – e la missione della telereporter Kim Baker (Tina Fey) trova il modo per trasformarsi anche in una riflessione ancora sul senso di quella guerra, pur vista dall’angolazione soggettiva della protagonista. Il titolo del film riproduce la sigla militare WTF per indicare un’azione pazzesca. Alla coppia di registi Glenn Ficarra e John Requa è già capitato di cogliere nel genere commedia elementi, se non proprio drammatici, di sicuro relativi alla sfera morale e del comportamento, basti pensare al precedente Focus – Niente è come sembra (2015, con Margot Robbie e Will Smith). Kim va in Afganistan perché vuole dare una sterzata alla propria vita non solo professionale e certo troverà materiali stimolanti. La collega Tanya Vanderpoel (Margot Robbie), già bene ambientata, la introduce a livello di “relazioni umane”, avvertendola di stare alla larga da un certo Iain MacKelpie (Martin Freeman), un tipo piuttosto svelto con le donne. Ovvio che l’incontro sarà fatale. C’è poi da tener testa ad Ali Massoud Sadiq (Alfred Molina), signore della guerra, e perfino il generale Hollanek, burbero e inflessibile all’apparenza, non manca di riservare le giuste attenzioni all’affascinante inviata. La quale avrà modo di rendersi anche conto del danno involontario che una “innocua” e banale intervista sul campo può arrecare al soldato ripreso dalla telecamera. La regia non perde occasione di proporre “verifiche dei codici”, nella combinazione di circostanze stridenti rispetto alla normale vita “civile”. Per esempio, la scena in cui Kim, mentre sta seguendo un trasferimento fa fermare la jeep in cui è ospite perché deve “fare pipì”. Quando alla fine la reporter deciderà di rientrare in America, la motivazione sarà: «Si può fare giornalismo anche nel mondo reale». Prendetela un po’ come preferite.
Franco Pecori
19 Maggio 2016