Mi rifaccio vivo
Mi rifaccio vivo
Regia Sergio Rubini, 2012
Sceneggiatura Sergio Rubini, Carla Cavalluzzi, Umberto Marino
Fotografia Fabio Cianchetti
Attori Emilio Solfrizzi, Neri Marcorè, Lillo Petrolo, Sergio Rubini, Vanessa Incontrada, Bob Messini, Gianmarco Tognazzi, Margherita Buy, Valentina Cervi, Enzo Iachetti
Mitragliata di scenette a incastro, purché non sembri un vero film. Può essere questa la ricetta per la crisi del cinema italiano, specie in commedia? Qui siamo al limite estremo. La sostanza del contenuto è da “operetta morale”: nella vita di ciascuno può esservi un compagno d’infanzia col quale si ha un rapporto di amichevole concorrenza, o peggio, di conflittuale competizione. Sono cose, poi, di difficile soluzione, uno se le può portare dietro per tutta la vita. L’importante è non esser troppo cattivi. Si cresce, i destini sembrano dividersi e, invece, ecco che l’altro che ci portiamo dentro come un ostacolo fisso e quasi insuperabile ci piomba addosso, magari proprio nel momento peggiore che stiamo attraversando, quando tutti i nostri progetti sembrano essere andati in fumo e sentiamo l’impulso preciso di farla finita. Succede a un Biagio Bianchetti qualsiasi (Lillo Petrolo). E noi lo seguiamo, lo vediamo entrare nell’altro mondo. Anche lì rimane deluso, per lui non c’è posto ai piani alti, dovrà andare nel seminterrato. Però, un momento. Prima di lasciare il mondo dei vivi, Biagio ha compiuto una buona azione verso un “barbone” che gli chiedeva l’elemosina. Quel “povero” fingeva la parte, ma altri non era che un autorevole assistente di Carlo Marx, colui che dirige il traffico. Così, secondo un principio piuttosto cattolico, a Biagio viene concesso il modo di rifarsi, un bonus di qualche giorno da vivere ancora. Il tassista Caronte (Enzo Iachetti) lo riporta indietro, ma sotto altre spoglie. Ora sarà il grande manager Dennis Rufino (Emilio Solfrizzi), nientemeno: colui dal quale dipendono le fantastiche sorti di Ottone Di Valerio (Neri Marcorè), l’odiato eterno competitor. Biagio non ha ancora deciso se essere fino in fondo buono o cattivo. Deciderà più tardi, per il momento gli sembra che l’occasione per danneggiare Ottone sia finalmente propizia. Lasciamo stare lo sviluppo-non-sviluppo narrativo. Quel che conta è la scenetta in sé, meccanica, in una giostra simbolica ben gradita agli assetati del “volemose bene”. Il successo di un film pare non si debba giocare sulla credibilità di una sceneggiatura. Se credete in un “futuro migliore”, divertitevi pure. C’è una buona dose di “televisione”, dunque: tornando a casa dal cinema, serenità e pacifica convivenza. E fate attenzione, il film sembra fatto puntualmente in questi giorni di “larghe intese” politiche, ma è stato concepito un paio di anni fa, è indipendente dalla stretta attualità. Del resto, il governo può sempre cambiare. Vi domanderete che fine abbia fatto il Rubini de La stazione. Non vorremmo che fosse nel taxi di quest’ultimo film, proprio a cercare una sua destinazione.
Franco Pecori
9 Maggio 2013