Piccole bugie tra amici
Les petits mouchoirs
Guillaume Canet, 2010
Fotografia Christophe Offenstein
François Cluzet, Marion Cotillard, Benoît Magimel, Gilles Lellouche, Jean Dujardin, Laurent Lafitte, Valérie Bonneton, Pascale Arbillot, Joël Dupuch, Anne Marivin, Louise Monot, Hocine Mérabet, Mathieu Chedid, Maxim Nucci, Néo Broca.
Roma 2010, fc.
A dirla in poche parole, la presumibile banalità della sostanza narrativa non incoraggerebbe ad affrontare la lunga visione, 154 minuti, del terzo film (Mon idole 2002, Non dirlo a nessuno 2006) da regista dell’attore francese Guillaume Canet (L’enfer 2005, Une vie meilleure 2011). Un gruppo di amici parigini tra i 40 e i 50 partono per la solita vacanza d’estate, a Cap Ferret. Max (François Cluzet), il più ricco di loro, li ospita nella bella casa davanti al mare. Si portano dietro ciascuno i propri problemi e giorno dopo giorno le condizioni si intrecciano e si evolvono, scivolando da commedia a dramma e lasciando emergere tante “piccole bugie” che in realtà rivelano profonde crepe sentimentali e pratiche dei singoli componenti. Tra teatro e letteratura, il film scritto dallo stesso Canet rischia di restare bloccato in una struttura situazionale poco stimolante. Ma qualcosa fin dall’inizio fa pensare che forse avremo un quadro leggibile anche in funzione “storica”. Lo sguardo psicologico con cui la cinepresa racconta le giornate e i caratteri dei personaggi non è astraibile dalla stretta contemporaneità del contesto che appunto dalle prime inquadrature si definisce nettamente. Non più ragazzi ma ancora “giovani”, i protagonisti impazzano in discoteca, fanno gruppo e s’impasticcano fino allo sfinimento. Non più “bamboccioni”, hanno la loro professione e la loro famiglia già fatta o sul punto di farsi, sanno cosa sia il lavoro e sanno gestire il divertimento. Ma vedremo che non sempre tutto funziona alla perfezione. Basterà un incidente a scalfire il meccanismo. E scopriremo che i sentimenti e le idee non sono “universali” e statiche, ma si regolano sulle situazioni attuali. Qui entra la bravura degli attori, tutti al servizio di una coscienza del fare che mantiene presente l’esistenza del set mentre il film va svolgendosi “di ripresa in ripresa” – e ci sentiamo presenti alla lavorazione, come nella perfetta tradizione del cinema francese figlio della Nouvelle Vague. Il tempo della commedia scorre insieme alla pellicola, corpi e anime degli attori tra-scorrono l’esistenza come sapendo ch’essa è destinata a finire col film. E’ un cinema che si identifica in sé, senza pretese assolute, fedele a una delle poetiche possibili. Così non sembra lungo il giro del film, alla fine ci sembra che abbiamo appena fatto in tempo a conoscere un po’ i personaggi, i loro diversi mondi forse inconciliabili, forse non ancora nati e già irrimediabilmente vissuti. Un funerale, alla fine, paradossalmente riavvia la trottola, ma l’emozione ci resta dentro e non s’arrende al nero dei titoli.
Franco Pecori
6 Aprile 2012