Albert Nobbs
Albert Nobbs
Rodrigo García, 2011
Fotofrafia Michael McDonough
Glenn Close, Mia Wasikowska, Aaron Johnson, Janet McTeer, Jonathan Rhys Meyers, Pauline Collins, Bronagh Gallagher, Brenda Fricker, Antonia Campbell-Hughes, Maria Doyle Kennedy, Mark Williams, John Light, Annie Starke, Phoebe Waller-Bridge, Emerald Fennell, Kenneth Collard.
Identità, società, storia. Rodrigo García, figlio di Gabriel García Márquez, al suo quarto lavoro da regista – Le cose che so di lei (premiato al Sundance e al Certain Regard di Cannes 2000), 9 vite da donna 2005, Passengers 2006 -, ha portato sullo schermo il racconto ottocentesco dell’irlandese George Moore, “The Singular Life of Albert Nobbs”, al cui adattamento ha partecipato anche Glenn Close, destinata al ruolo di protagonista. Albert Nobbs è una donna travestita da uomo, il travestimento però non serve, come in altri indimenticabili film (uno su tutti e al contrario nell’inversione dei sessi, A qualcuno piace caldo di Billy Wilder, 1959), principalmente al gioco comico degli equivoci bensì vive radicato nelle necessità drammatiche di un contesto e di un’epoca. Siamo nella Dublino del XIX secolo, la povertà minaccia la sopravvivenza di molti, il lavoro è una dura conquista ed è tutt’altro che sicuro. Il personale del Morrison’s Hotel, frequentato da una clientela ricca, è terrorizzato dalla continua possibilità di finire sulla strada. Per Albert il lavoro da cameriere è stata l’unica occasione e ha dovuto prenderla al volo. Nessuno mai scoprirà la sua identità, intanto mette da parte i miseri risparmi che un giorno gli permetteranno di rifarsi una vita, magari aprendo una tabaccheria e trovando una donna insieme alla quale gestire il negozio. Il miraggio corrisponde al riscatto sociale e, nel film, si realizza nella sublime misura dell’ambiguità con cui il regista traduce scene e inquadrature, non solo quelle in cui Albert/Close è presente ma in tutte le altre che della presenza/assenza di Albert si nutrono, per il processo di disvelamento che va dalla curiosità iniziale al successivo e drammatico intreccio amoroso con altri personaggi, legati anch’essi alla “primaria” necessità di vita. Bussa infatti all’Hotel un giovane disoccupato che accetta di improvvisarsi idraulico pur di avere lavoro: presto s’invaghisce di Joe (Aaron Johnson) la cameriera Helen (Mia Wasikowska) e ne resterà incinta, proprio lei che Albert in cuor suo sceglie come futura “socia”! Per la verità è stata un’altra donna (Janet McTeer), pure travestita da uomo momentaneamente assunto per ridipingere i muri dell’Hotel, a far balenare ad Albert i possibili vantaggi del mascheramento. E la finzione è tanto bene riuscita da “costringere” Albert a corteggiare Helen fino a chiederle di sposarla e poi, drammaticamente, a difenderla dalla reazione di Joe alla notizia della futura maternità. Qui dobbiamo fermarci per non togliere allo spettatore l’umorismo dell’ultima inquadratura. Per Helen il rischio di venir licenziata dopo il parto è molto concreto. Si aggiungerà anche lei alla lista delle probabili identità perdute? Alla fine, non solo per merito della grande interpretazione di Glenn Close – e qui sottolineiamo il valore complessivo del film – Albert Nobbs resta nella memoria come una bellissima prova di ambiguità, caratteristica essenziale d’ogni opera d’arte.
Franco Pecori
10 Febbraio 2012