L’onda
Die Welle
Dennis Gansel, 2008
Jürgen Vogel, Frederick Lau, Max Riemelt, Jennifer Ulrich, Christiane Paul, Elyas M’Barek, Cristina do Rego, Jacob Matschenz, Maximilian Vollmar, Max Mauff Ferdinand Schmidt-Modrow, Tim Oliver Schultz, Amelie Kiefer, Odine Johne, Fabian Preger, Teresa Harder.
Torino Film Festival 2008: Dennis Gansel e Peter Thorwarth, sc.
Come nasce una dittatura? Ne può nascere un’altra in Germania? Settimana a tema in un liceo tedesco. Il professor Rainer Wenger (Vogel) avrebbe scelto di parlare ai ragazzi di anarchia, ma gli tocca di spiegare l’autarchia. Si immedesimerà nel ruolo. La lezione si trasformerà in azione e finirà nel dramma. L’inizio è corretto e promettente, anche se dichiaratamente didascalico. Uno degli studenti dice: «Quello che manca alla nostra generazione è qualcosa che crei coesione, un obbiettivo comune». Quindi la classe ascolta e impara: presupposto per un sistema autocratico? Un’ideologia e un comandante. Chi? Ai voti: Wenger. Ora il capo è lui: «Quali condizioni sociali favoriscono la nascita di una dittatura?». Sembra che i ragazzi lo sappiano: disoccupazione e ingiustizia sociale, inflazione, delusione politica, spirito nazionalistico. Dritti alla mèta: il potere attraverso la disciplina, l’unità, l’uniformità: una camicia bianca, per esempio, il nome (L’Onda), il gesto (un saluto col braccio sul petto), l’azione (gli adesivi del logo sparsi per tutta la città). Di passo in passo, l’esperimento si allarga oltre i confini della scuola. I ragazzi sono altrettanti esempi, diversi e tuttavia omogenei, di una trasformazione che ha quasi l’aria di essere naturale. Il gruppo si rafforza, diventa esclusivo e tracotante finché la situazione appare a Wenger matura per il colpo di scena finale, pedagogico. L’insegnante ha assegnato agli studenti il compito di scrivere che cosa abbiano imparato da quell’esperienza. Risposte chiare: «L’Onda ci ha reso tutti uguali, apparteniamo tutti allo stesso gruppo, L’Onda ci ha dato uno scopo, degli ideali per i quali vale la pena lottare». Wenger riunisce tutte le camicie bianche in un’aula più grande e fa il discorso “finale”: «Il progetto non deve finire qui. La Germania sta andando di male in peggio, noi siamo i falliti della globalizzazione e i politici vogliono farci credere che una maggiore efficienza ci aiuterà ad uscire dalla crisi. Ma i politici sono i burattini dell’economia, i poveri sono sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi. L’unica grande minaccia è il terrorismo, un terrorismo che noi stessi abbiamo alimentato attraverso le ingiustizie che facciamo finta di non vedere. Uniti possiamo fare tutto. L’Onda travolgerà l’intera Germania». Applauso. Se qualcuno non ci sta, sarà escluso e massacrato come un traditore. I ragazzi sembrano cadere nella trappola della finzione. Perciò è il momento di far valere la lezione, mostrandone il risvolto, il pericolo: «Vi avevo chiesto – dice Wenger – se in Germania fosse possibile un’altra dittatura. Ci siamo ritenuti migliori di tutti gli altri e abbiamo escluso dal gruppo chi non la pensava come noi. Mi scuso con tutti voi, siamo andati oltre, io sono andato oltre. Deve finire qui». Già, ma non è facile. Qualcuno può essere rimasto intrappolato. Il finale drammatico, sebbene scontato, non va rivelato. Ma una certa schematicità psicologica può aiutare a focalizzare l’importanza del film sul problema scolastico, non solo del rapporto generale scuola-società, ma delle attitudini necessarie al singolo insegnante per sostenere il difficilissimo ruolo di educatore. Mentre la lezione sull’autocrazia può apparire persino ovvia, ridotta com’è a slogan buoni più per la comunicazione di massa che per la scuola, non altrettanto ovvio pare il tema della preparazione pedagocica di chi è chiamato a controllare le trasformazioni dei valori, dei comportamenti, dei linguaggi. In un certo senso, il lavoro del giovane Gansel (Hannover, 1973), facile per i ragazzi, finisce per risultare difficile per i loro insegnanti, il che non è necessariamente un male. Nelle maglie di uno stile che tende al translucido, si può trovare qualche segno utile di complessità. Bravissimi i giovani interpreti e Vogel, così vero da sembrare finto.
Franco Pecori
27 Febbraio 2009