Transformers – L’ultimo cavaliere
Transformers: The Last Knight
Regia Michael Bay, 2017
Scenaggiatura Matt Holloway, Art Marcum, Ken Nolan
Fotografia Jonathan Sela
Attori Mark Wahlberg, Anthony Hopkins, Laura Haddock, John Turturro, Stanley Tucci, Josh Duhamel, Isabella Moner, Santiago Cabrera, Tyrese Gibson, Liam Garrigan, Gil Birmingham, John Hollingworth, Jerrod Carmichael, Martin McCreadie, Dino Fazzani, Jason Matthewson, Edward Mannering.
Basta con i Transformers. I militari della Transformers Reaction Force (TRF) hanno deciso di sterminarli – un’occasione per ammirare gli oggetti da guerra più aggiornati e sfavillanti in dotazione alle forze armate americane. Si può dire anche rottamazione, ma non è semplice: il trasformismo è una struttura culturale ben radicata nella storia dell’umanità e non basta distruggere se, insieme, non si abbia la capacità, l’ingegno, la forza morale di riattingere a un’istanza strutturale prospettica. Si può continuare a prospettare minacciosamente la fine del mondo, l’autodistruzione, il trionfo del nemico – che è sempre il Male -, prefigurando il disperato rimpianto per il tempo che fu, quando Si-Stava-Meglio, ma non si toglierà nemmeno un minimo di angosciosa attesa se l’unico traguardo ideale sarà di una Libertà generica, non specificata. Discorso duro, ma come essere morbidi a fronte della iterata e tracotante (trans cogitans) riproposta di un’Età del Ferro, ferreamente ristrutturata ad ogni successiva e interminabile presentazione? Già, nemmeno narrazione. Quel che colpisce, dei 149 minuti di questa quinta accozzaglia di tonfi disgregatori e di fanciullesche robotizzazioni dell’Avvenire Passato, è lo statico ripescaggio del Medioevo, dei Tempi Bui, per dare un senso al “lodevole” tentativo attuale di liberarsi dalla schiavitù del Mito. Ancora il Re Artù e il Mago Merlino, ancora il bastone magico per una nuova generazione di salvatori; i quali, invece, sarebbe bene che tornassero a pensare, a parlare ordinato, a fare i conti con la realtà dei campi magnetici, dei linguaggi, della biologia. Montaggio, smontaggio, ristrutturazione di automobili, rivendita e demolizione: un gigantesco Sfasciacarrozze per un’estetica (espressività della sensazione, senso della percezione) di periferia. A dieci anni dal primo Transformers, Michael Bay, non immemore delle proprie radici – Armageddon e soprattutto la filosofia pubblicitaria – spinge l’acceleratore sulla roboanza degli effetti e sulla predominanza delle variabili rispetto alle varianti. In una società che vive la sua era “liquida”, il contrasto tra resistenza e duttilità viene forzato e articolato in forme estreme, ma senza darlo troppo a vedere. Paradossalmente, mentre dallo schermo balzano in 3D contorcimenti metallici e ristrutturazioni ambientali sull’orlo di cataclismatici abissi terraquei, si offre alle nuove generazioni di umani (Isabella Moner è l’orfanella che reclama il diritto di esservi) la rivelazione di un’antica Presenza che venne da un mondo altro. Ben altro di cui occuparsi che non di una specificazione di Libertà. A tenere il punto di una presentabilità della tesi oscura (sulla Terra, dai tempi bui, la mitica nave aliena), occultatrice di Storia, sono richiamate icone serializzate come Anthony Hopkins, John Turturro, Stanley Tucci e si tira in ballo l’Università di Oxford per la verifica delle fonti (la faccia da professoressa la mette Laura Haddock). Al coraggio e alla fantasia di calciare il “rigore” provvede Mark Wahlberg, non avendo Cade Yeager nulla da farsi perdonare.
Franco Pecori
22 Giugno 2017