Il segreto dei suoi occhi
El secreto de sus ojos
Juan José Campanella, 2009
Fotografia Felix Monti
Ricardo Darin, Soledad Villamil, Pablo Rago, Javier Godino, Guillermo Francella.
Oscar 2010: film straniero
Dopo la candidatura del 2001 con Il figlio della sposa, nel 2010 Juan José Campanella si è aggiudicato l’Oscar per il miglior film straniero vincendo su concorrenti come Michael Haneke (Das weisse band – Il nastro bianco), Scandar Copti e Yaron Shani (Ajami), Jacques Audiard (Un prophète – Il profeta), Claudia Llosa (La teta asustada – Il canto di Paloma). Il regista argentino mostra un impegno non meno importante di quello degli altri componenti la “cinquina”. Pur ancorando il film ad una referenzialità di genere decisamente rintracciabile (noir e un po’ commedia), ne controlla e spesso ne varca i confini con l’intento di restituire allo spettatore la complessità dei personaggi e delle situazioni. Di tale attenzione alla polivalenza espressiva ci si accorge fin dall’inizio, quando vediamo il protagonista Benjamin Esposito (notevole l’interpretazione di Ricardo Darin) mentre prova senza successo a scrivere la prima pagina del romanzo che ha in mente. L’ispirazione appare difficile. Man mano capiremo il perché. Le ragioni sono nella memoria di Esposito, le incontreremo durante il viaggio all’indietro, seguendo il regista nella non facile “lettura” cinematografica del romanzo di Eduardo Sacheri, La pregunta de sus ojos (in Italia nella Bur). Campanella si mantiene lontano dal metodo tipologico di “presentazione” che funesta le introduzioni di troppi film. Subito abbiamo la sensazione che stiamo entrando a contatto con qualcosa di complesso. Intanto, il personaggio sembra avere coscienza di sé e delle difficoltà dell’impresa. Ha passato una vita di lavoro presso il tribunale penale e non ha potuto mai liberarsi del rovello riguardante il caso irrisolto dell’omicidio di una giovane donna massacrata barbaramente. Ora che è in pensione pensa finalmente di raccontare quel caso, ma qualcosa gli impedisce di scrivere con la necessaria scioltezza. Il detective che è in lui trasforma Benjamin in detective anche di se stesso, di un amore irrisolto e anzi mai cominciato veramente (pregevole anche la prova di Soledad Villamil nella parte di Irene, la donna “sul punto di essere amata”) e di tutta un’epoca oscura, gli anni Settanta dell’Argentina peronista, che ora gli sembrerà riflettersi sul mistero di quel lontano delitto. Lo sguardo del regista mantiene la stessa qualità sia quando indaga da lontano – e cerca, per esempio, l’assassino tra la folla nello stadio gremito, impressionandoci con la disperazione di una “caccia impossibile”, metafora/incubo di una società oppressa -, sia quando si fissa sul dettaglio d’una vecchia foto di gruppo e “trova” gli occhi che stava cercando. È il filo di un'”indagine” non meccanica, che mette in comunicazione l’interno e l’esterno, in soggettiva e in panoramica dall’alto, secondo una filosofia che impedisce la rassegnazione dell’uomo Esposito: «Come si fa a vivere una vita vuota?». La vita di un uomo è fatta del suo tempo e del suo contesto. È fatta delle persone che stanno vicino e di quelle che non riusciamo mai ad incontrare. Un marito, Ricardo Morales (Pablo Rago), continua a soffrire, incaponito nel dolore per la perdita della moglie assassinata; un amico, il migliore che Benjamin abbia avuto, Pablo Sandoval (Guillermo Francella), vive da ubriaco una sua felicità ironica che lo protegge dalla cattiveria del mondo; un assassino (uno dei tanti?) viene scoperto e confessa, ma lo Stato non lo vuole all’ergastolo, preferisce riutilizzarne le “doti”. Un impiegato in pensione prende il treno e se ne va mentre Irene, correndo accanto al finestrino, gli tocca la mano attraverso il vetro.
Franco Pecori
4 Giugno 2010