Cold War
Zimma wojna
Regia Pawel Pawlikowski, 2018
Sceneggiatura Pawel Pawlikowski, Janusz Glowacki
Fotografia Lukasz Zal
Attori Tomasz Kot, Joanna Kulig, Agata Kulesza, Borys Szyc, Jeanne Balibar, Jacek Rozenek, Cédric Kahn, Martin Budny, Philip Lenkowsky, Adam Woronowicz, Adam Ferency.
Premi Cannes 2018: Pawel Pawlikowski reg.
Wiktor (Tomasz Kot) e Zula (Joanna Kulig) si amano negli anni della Guerra Fredda. Si va dal 1949 al ’59 e oltre, i due blocchi guidati dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica si fronteggiano in vista del decisivo orientamento della politica e dell’economia mondiale. In Polonia, il peso del trapasso storico si avverte con significative sofferenze. Pawel Pawlikowski insiste, dopo il precedente Ida (Oscar 2015 al miglior film “straniero”), nella scelta stilistica della fotografia in bianco&nero e in formato 1:1.37, segnalando con nuova specifica attenzione la prospettiva culturale, spirituale e romantica, del racconto di una passione amorosa ambientata in un contesto “grigio”. Per il dato obbiettivo, il materiale di attacco è la musica, perché già qui, nell’ottica di un realismo politico bloccato sulla teoria del rispecchiamento artistico della “realtà”, lo sguardo critico dell’autore coglie il punto di crisi che segnerà l’avvio di un grande amore. Conosciamo la bionda e dinamica Zula grazie alla sua voglia di ragazza di campagna di entrare nella compagnia folk Mazowske (balli e canti popolari). Il gruppo è in formazione e farne parte può voler dire per Zula riscattarsi da un recente passato drammatico, nel rapporto col proprio padre. La musica popolare è molto valorizzata dal Partito, a fronte del dilagare “corruttivo” del jazz e dei suoi derivati nel mondo occidentale. È anche vero – come ha dichiarato lo stesso Pawlikowski – che “per Zula il comunismo non è un problema”. Infatti il rapporto della ragazza con la musica si consolida soprattutto attraverso l’attrazione, reciproca, per Wiktor, direttore artistico della compagnia e pianista. Sequenze “istruttive” ci fanno capire le tendenze ideologiche dell’operazione culturale filosovietica, ma presto entriamo nel vivo della passione tra i due protagonisti. La regia sceglie una specie di riduzione a sincronia, utilizzando una serie di interpunzioni nel montaggio, schermo nero che segna di volta in volta non solo il passaggio da una fase del racconto all’altra bensì la possibile connessione atemporale dei contenuti. Si passa alla Varsavia ’51, alla Berlino Est ’52, alla Parigi ’54, alla Jugoslavia ’55; e poi ancora la Parigi ’57. Wiktor ha tentato di trascinare Zula con sé in Occidente, ma si ritroveranno solo più tardi. Il pianista suona il jazz moderno nei locali e s’introduce negli ambienti artistici e snob. Siamo andati dai canti folkloristici delle campagne controllate dallo stalinismo alla Billie Holiday di The Man i Love e alle discussioni sul valore della metafora in poesia. C’è un sentore di drammone antieroico in B%N, finché poi si tratterà di tirar fuori Wiktor dalla prigione (implacabile la persecuzione comunista). Ed ecco pronto il finale, l’amore inarrestabile di Zula vince. Vivranno felici e contenti, dopo un’ultima sottolineatura, un po’ ridondante: “Andiamo dall’altra parte, la vista è migliore da lì”.
Franco Pecori
20 Dicembre 2018