Animal Kingdom
Animal Kingdom
David Michôd, 2010
Fotografia David Michôd
Ben Mendelsohn, Joel Edgerton, Guy Pearce, Luke Ford, Jacki Weaver, Sullivan Stapleton, James Frecheville, Dan Wyllie, Anthony Hayes, Laura Wheelwright, Mirrah Foulkes, Justin Rosniak, Susan Prior, Clayton Jacobson, Anna Lise Phillips.
Sundance 2010, miglior film. Roma 2010, fc.
Ma che bella famigliola! Joshua J Cody (Frecheville), diciassettenne, vede morire la madre di overdose sotto i propri occhi. Rimane stordito, trova a stento la forza di telefonare alla nonna Janine “Smurf” Cody (grande interpretazione di Jacki Weaver, la Minnie dell’indimenticabile Picnic a Hanging Rock, Peter Weir 1975). È l’inizio del film che vede il debutto trionfale alla regìa (vincitore del Sundance Festival) dell’australiano Michôd. Un inizio cupo e compresso e non è ancora niente. La famiglia Cody vive di rapine e di droga. Janine è madre di tre fratelli. Pope (Mendelsohn) è il maggiore, dedito alla rapina. Craig (Stapleton) è il secondo e preferisce la via “moderna” dello spaccio in grande stile. Il minore è Darren (Ford), alquanto passivo segue svogliatamente la sorte incerta. La voce narrante di J ci introduce alla storia dei Cody. Dopo di che il ragazzone resterà praticamente muto per tutto il film, come sbigottito e succube di un destino malefico. E vedrà, in una specie di eliminazione a catena, il gioco al massacro, feroce e freddo, con cui gli “animali” mantengono la propria sopravvivenza. Ci si avvia al culmine della tensione quando Baz (Edgerton), l’amico e socio di Pope, viene brutalmente ammazzato. Probabilmente una fine determinata dall’idea “amichevolmente” espressa a Pope, che non si potesse più insistere con un genere di crimine ormai sorpassato. Fattore essenziale del sistema perverso e “animalesco” è la corruzione dei polizziotti, riferimento e copertura organica del malaffare. La “benevolenza” interessata di uno di loro, Nathan (Pearce), non basterà a salvare J dall’inferno. L’avvertenza è chiara: «I colpevoli crollano sempre, in un modo o nell’altro», ma intanto a J che si ritrova solo non resta che scegliere il male minore. Lo vedremo alla fine del film e capiremo bene il ruolo basilare , conservativo, di nonna Janine, calamita del male. Nonostante si possa fare riferimento alla realtà criminale di Melbourne, metropoli caotica, il regista non mette in campo parametri sociologici né suggerisce contestualizzazioni referenziali. Il film mantiene un atroce distacco verso la materia, chiamando lo spettatore a un orrore non generico, a una repulsione non manieristica e quindi a una riflessione approfondita su un contesto che, pur australiano (non più “lontano” come una volta), dobbiamo sentire anche nostro. Anche contenendo una carica di violenza più che ragguardevole, il racconto non si spreca in sequenze di movimento espressionistico, ma uscendo dalla proiezione avvertiamo dentro che un nodo è da sciogliere. Difficile ormai da sciogliere.
Franco Pecori
30 Ottobre 2010