Addio a Carlo Vanzina
Carlo Vanzina, il regista che ha raccontato in oltre 60 film un’Italia in commedia, si è spento a Roma, dov’era nato il 13 marzo 1951. Nei primi anni ’70 fu aiuto regista di Mario Monicelli in Brancaleone alle crociate e collaborò con il padre, Stefano Vanzina (Anastasia mio fratello), con Alberto Sordi (Polvere di stelle). Del 1976 è la sua prima regia, Luna di miele in tre, film scritto dal fratello Enrico, poi immancabile suo collaboratore durante 40 anni di carriera. Del 1982 è la scoperta di Diego Abatantuono (Eccezzziunale… veramente), del 1983 sono Sapore di mare e Vacanze di Natale, il film che apre la lunga serie dei “cinepanettoni”.
Vacanze di Natale
Regia Carlo Vanzina, 1983
Sceneggiatura Enrico e Carlo Vanzina
Fotografia Claudio Cirillo
Attori Jerry Calà, Christian De Sica, Stefania Sandrelli, Antonella Interlenghi, Karina Huff, Guido Nicheli, Paolo Baroni, Rossana Di Lorenzo, Claudio Amendola, Mario Brega, Riccardo Garrone, Rossella Como, Marco Urbinati, Marilù Tolo, Licinia Lentini, Jasmine Maimone, Roberta Lerici, Roberto Della Casa.
Un filmetto? E perché no. A patto che sia un modo simpatico per richiamare l’idea d’un genere di cinema senza pretese superartistiche, ma di fattura più che rispettabile, non occasionale. E parecchio divertente. Film istantaneo, lo ha definito lo stesso regista. Non è un film nostalgico, non riesuma gli anni ’60, ma parla dei nostri giorni. Però il film non è improvvisato. E’ anzi costruito con cura, senza sprechi di pellicola né di battute. Sono usati tutti i “trucchi” del cinema italiano “leggero”, gli ingredienti più collaudati. Lo diciamo in senso positivo, come lo diremmo per un western o un altro film di genere; certe cose, certi personaggi, certe situazioni ritornano immancabilmente, eppure non stancano. L’operazione di Vanzina è anche coraggiosa perché non vi sono precedenti. La commedia di derivazione neorealistica utilizza le situazioni-barzelletta con un atteggiamento di fondo, che è pur sempre di immedesimazione con la realtà: fotografia dal vero. Invece Vanzina non fa che proseguire il lavoro di Mystère: fa il cinema utilizzando prima di tutto il già fatto; e fa vivere ai personaggi una vita completamente codificata. Quel ragionier Moretti, a Cortina con la figlia Titti, il Sordi di Vacanze d’inverno, è ben lontano (1959). Aveva vinto un viaggio premio alla tv e ora fa… il tassinaro. Non ci sono personaggi spaesati perché tutti parlano perfettamente la lingua di oggi, presa dalla tv e dalle comunicazioni di massa. Alla Sandrelli che «non cerco un uomo, cerco un po’ di felicità» la Tolo risponde «ragazzi, siamo in pieno Flamengo Road!». E’ una scarica di migliaia di battute svelte, senza respiro, un universo sotto vetro. [Franco Pecori, Paese Sera, 24 dicembre 1983]
Sapore di te
Regia Carlo Vanzina, 2013
Sceneggiatura Enrico Vanzina, Carlo Vanzina
Fotografia Enrico Lucidi
Attori Serena Autieri, Namcy Brilli, Eugenio Franceschini, Matteo Leoni, Virginie Marsan, Maurizio Mattioli, Giorgio Pasotti, Katy Saunders, Valentina Sperlì, Martina Stella, Vincenzo Salemme.
“Sapore di sale, sapore di mare, sapore dite”, Gino Paoli 1963. Nella serie dei fratelli Vanzina è scomparso il sale (Sapore di mare e Sapore di mare 2 – Un anno dopo, 1983, e ora Sapore di te ). Vi sarebbero state ragioni di diritti già acquistati da altri, il risultato è significativo ugualmente. In mancanza di sale, si è partiti dalla nostalgia degli anni Sessanta e si arriva, a distanza di un trentennio, alla “rivisitazione” degli Ottanta. Il terzo film finisce ripetendo il modulo dei precedenti e arriva ai giorni nostri, chiama ancora lo spettatore al disincanto vacanziero (come dire: “un’altra estate se n’è andata”) e nello stesso tempo lo consola lasciando intendere la probabile “eternità” del ciclo. Anche se le mezze stagioni pare si vadano perdendo, le fasi trimestrali per ora restano quattro. Tutto carino, come al solito. Lo sceneggiatore Enrico e il regista Carlo conoscono bene il proprio mestiere, utilizzano con coscienza un formulario risaputo e sanno ottenere il vago sapore – sì, sapore – di favola che è appunto la caratteristica della loro commedia, attenta al “lucido” portato della cronaca (storia sarebbe parola un po’ grossa). Sotto sotto, solo a grattare un pochino di più, si vince il premio sgradevole di una storia non troppo consolatoria. Ma beato chi se ne accorge. Troppo bravi i due fratelli a nascondere la mano, sicché veniamo presi dalle storielle consunte (miracolo! sembrano fresche di giornata) dei personaggi/figura, veicoli della vacanza infinita – e tuttavia faticosamente evolutiva perché nascono figli, si realizzano matrimoni, ecc. – e dell’irrimediabile ripetizione dei destini. Oh Forte dei Marmi, oh giorni e serate d’agosto, la sabbia, il bagnino, l’ombrellone, la villetta che costa un occhio per un solo mese, i mariti e le mogli in ascesa commerciale, le truffette (ma sì, non tanto gravi) accomodabili con un furbetto intervento dell’onorevole amico di Bettino, i ragazzi universitari, i loro amori e le loro “innocenti” trasgressioni, perfino l’”umanità” compromissoria della nuova divetta del nuovo varietà della nuova tv di successo, tutto fa brodo per un ultimo saluto all’ottavo decennio del XX secolo. Al volo, nel sottofinale, i fallimenti, le delusioni, le illusioni del gioco estivo recuperano il senso di una generazione perduta, al cui “rilancio” non vogliamo accennare, nemmeno in ipotesi rosa. [Franco Pecori, Critamorcinema, 9 gennaio 2014]
Caccia al tesoro
Regia Carlo Vanzina, 2017
Sceneggiatura Carlo e Enrico Vanzina
Fotografia Enrico Lucidi
Attori Vincenzo Salemme, Carlo Buccirosso, Christiane Filangieri, Gennaro Guazzo, Francesco Di Leva, Benedetto Casillo, Serena Rossi, Max Tortora.
Carlo Vanzina la sa lunga. Entrato nel cinema italiano, diciamo nella commedia, ancora in fasce (Totò e le donne, Steno e Mario Monicelli 1952) e passato alla regia nel ’76 (Luna di miele in tre), ha aperto la lunga stagione dell’intrattenimento natalizio nel 1983, con Vacanze di Natale, un “filmetto” capolavoro di coscienza produttiva e “nuova” maestria del combinare confezioni regalo simpatiche al botteghino. Maestria “nuova” ma tutt’altro che discontinua, essendo Carlo figlio di Stefano, regista e sceneggiatore protagonista di un infinito periodo aureo, dalla fine degli anni ’30 alle soglie del terzo millennio. Il figlio si è mantenuto sempre rispettoso verso la lezione paterna, al cui interno ha circolato un’aria di tradizione teatrale, non solo di “avanspettacolo”. La collaborazione più recente e ripetuta con un attore come Vincenzo Salemme, di radice eduardiana, conferma l’attenzione a forme di spettacolo che cercano autorizzazione “nobile” verso un cinema di sostanza riconoscibile. E Salemme non manca di sottolineare esplicitamente nelle sue parti in commedia il valore derivato da palcoscenico delle proprie interpretazioni, soprattutto nella tecnica recitativa. Non trascurabile l’affiatamento con Carlo Buccirosso, “spalla” che conferma l’importanza di un gioco dialettico che, mutatis mutandis, fa pensare a Totò e Peppino. Bisogna scendere però – nessuno si offenda – di un gradino piuttosto alto. Il tesoro di quest’ultima caccia è ancora il tesoro di San Gennaro, la mitria della statua del santo venerato a Napoli; è il medesimo tesoro dell’Operazione San Gennaro (Dino Risi, 1966), che vide, Nino Manfredi (allora considerato comico “minore” rispetto ai Sordi e ai Gassman), nei panni di Dudù, il boss venerato nei quartieri napoletani (il mandante era Totò, dal carcere). Gli equivoci di partenza e lo svolgimento dell’”impresa” possono richiamare il precedente ma non fino a fare del film di Vanzina un vero e proprio remake. Non tanto perché qui la caccia al tesoro venga da una necessità “umanitaria” – Domenico/Salemme, attore teatrale di “insuccesso” vuole rimediare un gruzzolo per salvare la vita a un nipote malato -, quanto perché la “mala” operativa non ha più il volto furbo/bonario di Manfredi, bensì il volto seriale gomorriano di Francesco Di Leva. E tutti possiamo avere qualche dubbio sulla “bontà” sociale della mafia, ma quando interviene la Televisione con la sua autorevolezza di stragista estetica, le sfumature decadono, si afferma il Verosimile. Ecco che ogni delicatezza del tocco, ogni ingegno improvvisativo (il gioco e l’ammiccamento teatrale di Salemme e Buccirosso), ogni levità dello spirito satirico, cede il passo al discrimine elettronico massino (uno verso molti), il “tratto da una storia vera”. Storia falsa vera, potremmo dire, o storia veramente falsa. Commedia o commediola, sorridente o spiritosa, riconoscibile o svolazzante a mezz’aria, fate voi. Poca la differenza, molto più marcato il passaggio dalla maschera di Nino a quella di Francesco. Il film di Vanzina è tuttavia aggraziato, ricamato con tutta calma, caratterizzato in scioltezza, tanto che, come dice Salemme nel finale:” Le cose finte possono diventare vere”. [Franco Pecori, Critamorcinema, 23 novembre 2017]
23 novembre 2017
8 Luglio 2018