Cinema irlandese a Roma
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Roma Film Festival e alphapictuRes
in collaborazione con Irish Film Institute con il patrocinio dell’Ambasciata d’Irlanda
presentano
irishFilmfesta
casa del cinema 8/11 novembre 2007
Romafilmfestival primo atto: alla Casa del Cinema dall’8 all’11 novembre con dieci cineasti Irlandesi contemporanei.
La XII edizione del Romafilmfestival, mantenendo fede alla sezione cinema a confronto ormai consolidatasi negli anni, ha presentato quest’anno un importante omaggio al cinema Irlandese con un “focus” sugli autori più interessanti della nuova generazione.
Romafilmfestival secondo atto: una serata d’onore Sabato 10 Novembre alle ore 20,00 alla Casa del Cinema, in omaggio ad un grande Maestro del cinema Italiano, Carlo Lizzani. Presentazione del restauro, curato dalla Cineteca Nazionale Centro Sperimentale di Cinematografia, de La vita agra con Ugo Tognazzi e Giovanna Ralli alla presenza delle più alte personalità del mondo del cinema e della cultura.
Romafilmfestival atto terzo: a fine Novembre nelle due sale del Nuovo Olimpia con la presentazione del programma 2007 che prevede anteprime, novità internazionali, cinema a confronto, documentari inediti, etrange e la sezione retrospettiva dedicata a Carlo Lizzani.
IrishFilmFesta, è il primo festival di cinematografia irlandese in Italia, per far conoscere agli spettatori italiani il cinema dell’isola, ancora piuttosto giovane e poco noto. In rassegna dieci film inediti – tutti in versione originale sottotitolata accompagnati da autori e protagonisti. Promotori dell’IrishFilmFesta Alphapictures (società per la produzione di film europei di qualità di Anthony Souter e Francesca Prandi) e Roma Film Festival (Direttore artistico Edoardo Bruno). Il progetto di IrishFilmFesta nasce dalla collaborazione di Alphapictures con l’Irish Film Institute di Dublino, e dall’incontro con il critico cinematografico Susanna Pellis, specializzata in cinema irlandese, che ha selezionato i film. Alla sua realizzazione contribuito: la Casa del Cinema che ha ospitato la rassegna; Bruno Roberti, studioso e sceneggiatore cinematografico e Ruth Barton, docente di Film Studies del Trinity College di Dublino.
Il cinema irlandese ha trascorsi tormentati: per decenni, la sua ricerca di autonomia è stata ostacolata sia dal condizionamento economico ed
estetico delle produzioni filmiche anglo-americane che dal governo locale, sempre incline a considerare il cinematografo una minaccia piuttosto che un’opportunità, e per questo a censurarlo invece che a sostenerlo. Così, la storia iniziale del cinema in Irlanda è essenzialmente un lungo elenco di film ‘apparentemente’ irlandesi, in realtà diretti e prodotti da stranieri. Fino a tutti gli Anni Settanta infatti, a parte qualche isolato exploit indigeno, la maggioranza di queste pellicole erano versioni hollywoodiane o inglesi, per lo più stereotipate, della vita e della cultura dell’isola (come Un uomo tranquillo – The Quiet Man, di John Ford, 1956; o come La figlia di Ryan – Ryan’s Daughter, di David Lean, 1971). Solo negli Anni Ottanta, una prima generazione di cineasti irlandesi indipendenti (Bob Quinn, Cathal Black, Joe Comerford, Kieran Hickey, Pat Murphy, Thaddeus O’Sullivan), quasi una “Irish Nouvelle Vague”, è riuscita a interrompere questo andamento, portando sugli schermi film molto più aspri, impegnati e anticonvenzionali. Film che – ben lontani dagli stereotipi di cui si diceva – erano finalmente in grado di rappresentare la vera Irlanda, riesaminandone criticamente storia e società; e che al tempo stesso sperimentavano nuove forme di discorso filmico. Successivamente, il felice esordio nel cinema di artisti provenienti da altri ambiti, come lo scrittore Neil Jordan e il regista teatrale Jim Sheridan, ha fatto circolare l’immagine dell’Irlanda a livello internazionale, arrivando a conquistare gli Oscar con Il mio piede sinistro (My Left Foot, Jim Sheridan, 1989) e con La moglie del soldato (The Crying Game, Neil Jordan, 1992). Sulla spinta di questi successi, lo stato irlandese si è finalmente deciso a finanziare i propri cineasti: innanzitutto avviando un ente per la cinematografia, l’Irish Film Board, che lavora a pieno regime dal 1993; poi con un sistema di agevolazioni fiscali che ha portato in Irlanda anche importanti produzioni straniere; infine con la creazione di scuole di cinema, che hanno favorito l’emergere di giovani filmmakers. Negli Anni Novanta, grazie anche allo sviluppo economico del paese e al progredire del processo di pace nel Nord, la cinematografia dell’isola ha conosciuto una vera e propria fioritura, con un numero record di pellicole prodotte, molte delle quali diffuse e apprezzate anche oltreconfine: da Nel nome del padre (In the Name of the Father, Jim Sheridan, 1994) a Niente di personale (Nothing Personal, Thaddeus O’Sullivan, 1995), da Michael Collins (Neil Jordan, 1996) a I dilettanti (I Went Down, Paddy Breathnach, 1997), da The Boxer (Jim Sheridan, 1998) a Nora (Pat Murphy, 2000). Anche nelle occasioni in cui a girare storie irlandesi sono tornati registi stranieri, i film sono stati duri e accurati come mai in precedenza: si pensi a Magdalene (The Magdalene Sisters, Peter Mullan, 2002), a Bloody Sunday (Paul Greengrass, 2002), a Veronica Guerin (Joel Schumacher, 2003), al recente Il vento che accarezza l’erba (The Wind that Shakes the Barley, Ken Loach, 2006). Oggi, nonostante il suo periodo più prolifico sembri concluso, il cinema irlandese continua la propria evoluzione: tematica (l’Irlanda rurale, dei Troubles e della Chiesa cattolica ha lasciato il posto a storie più laiche e urbane), estetica (diversi film spiccano per la raffinatezza dello stile), e strutturale (c’è un crescente impegno in fase di pre- e post-produzione). Eppure, forse anche per la miopia delle società distributrici, ultimamente alcune delle migliori opere irlandesi sono rimaste lontane dagli schermi italiani. I film del nostro festival – che propone solo titoli inediti – affrontano temi sempre sorprendentemente attuali (il mondo del crimine e quello della droga, l’emarginazione sociale e il disagio giovanile, i fumetti e la musica), e scelgono modi di rappresentazione diversissimi fra loro (ci sono storie vere e storie di fantasia, un docu-drama e una commedia calcistica, un film in costume e una favola visionaria). Ma ciascuno di essi immerge in un’atmosfera profondamente e inconfondibilmente irlandese; e tutti insieme mostrano come questo cinema, uscito da decenni di colonizzazione artistica, rappresenti oggi appieno la propria specificità culturale risultando, al tempo stesso, attraente anche per il pubblico internazionale. Infine, questi film offrono l’opportunità di apprezzare la caratteristica che rende questa cinematografia unica nel panorama mondiale: l’eccellenza degli attori e la forza della loro recitazione in gruppo, le performance sorprendenti – per talento e per amalgama – dei cast corali. Costretti, in passato, a cercare fortuna artistica lontano dal paese di provenienza (sono i casi di Peter O’Toole, Maureen O’Hara e Maureen O’Sullivan, Richard Harris, e molti altri), gli attori irlandesi rappresentano oggi la vera ricchezza di questo cinema. Non solo perché spesso lo sostengono economicamente (diversi di loro, muovendosi fra l’Europa e l’America, finanziano progetti locali con quello che guadagnano sui set stranieri). Ma soprattutto perché continuano a riunirsi per recitare insieme in Irlanda, e sembrano davvero condividere il piacere del pubblico che può ritrovare le loro fisionomie familiari in ruoli sempre diversi. Brendan Gleeson, Stephen Rea, Brenda Fricker, Cillian Murphy, Elaine Cassidy, Ciaran Hinds, Donal McCann, Fiona Shaw, Mark O’Halloran, Tom Murphy, Gerard McSorley, Susan Lynch, Adrian Dunbar: questi sono alcuni dei nomi e dei volti che incontreremo nella rassegna. Riconoscerli sullo schermo sarà facile anche per gli spettatori italiani e il commento sarà, come al solito: “Non sapevo che fosse irlandese”.
Susanna Pellis – direttore artistico IrishFilmFesta
Il paesaggio dell’anima. Se c’è una dimensione del cinema irlandese è quella capacità di restituire attraverso il paesaggio, le atmosfere e gli ambienti, i somatismi dei volti, l’irrompere del rapporto tra il naturale e l’artificiale, il senso religioso e misterioso dell’esistenza, un’aura particolare che può essere definita come l’ambiguità dell’anima, il trascolorare e il trasformarsi degli stati di coscienza, lo scivolare del reale nel sogno, il rapporto violento e dolce tra colpa e innocenza. In questa scelta di film irlandesi questo “timbro”, presente anche nei registi più giovani, è rappresentato da due autori come Neil Jordan e John Boorman (che è irlandese di adozione perché ha scelto di vivere in quella terra). Averli accostati alle nuove tendenze che si esplicitano nel lavoro degli altri registi significa anche riflettere questa inconfondibile dimensione del “paesaggio dell’anima” di cui si parlava. Vuol dire che forse per un regista che gira in Irlanda, o che ha in sé il retaggio culturale e antropologico dell’Irlanda, il cinema diventa un occhio interiore, la capacità di trasferire il paesaggio, la concretezza dei luoghi, le atmosfere dell’ambiente, e in ultima istanza quel coacervo, così irlandese, di condizione umana e sociale dolorosa, di capacità a combattere per la giustizia o per difendere una identità che si unisce sempre a una “epifania” (così James Joyce definiva l’improvvisa rivelazione di un aspetto sottile e invisibile del reale) del mistero dell’esistenza e insieme al passaggio “di coscienza” che comporta spesso una perdita dell’innocenza (che è il paradiso perduto della natura, o lo stato “edenico” dell’infanzia, o ancora una sorta di perfezione sessuale ed esistenziale metaforizzata dallo stato androgino).. Se pensiamo ad alcuni film di Neil Jordan questa “nostalgia delle origini” unita al sentimento di una innocenza che si scontra con la violenza del mondo, di uno stato misterioso dell’amore che irrompe nella peripezia delle condizioni e degli eventi sociali, appare evidente. In The Butcher Boy questo itinerario è incarnato in un bambino, in film come La Moglie del soldato o Breakfast on Pluto da esseri “favolosi” che racchiudono in sé i due sessi, in In compagnia dei lupi nell’arcana lontananza della favola si insinua sempre di più la crudeltà e il perturbante, la “ferita” iniziatica sul corpo bambino, i turbamenti della trasformazione fisica e dell’attrazione erotica. Nel cinema di John Boorman tutto ciò viene trasposto nell’immaginario degli elementi naturali, nel sentimento del “selvatico”, nell’irruzione del magico che riporta sempre dimensione in cui il mito è figurazione, plastica e pittorica materializzazione di figure d’anima, di stati inconsci, di ombre della mente, di visioni interiori, quasi sciamaniche. Pensiamo al Graal di Excalibur che sembra essere la capacità di “vedere”, quella visionarietà che induce all’apparizione di altre dimensioni, fantasmatiche, ma che subito aderiscono (come un’aura misterica) alle strane forme e colori del paesaggio irlandese. Pensiamo anche allo stato di “veggenza” di Exorcist 2 – the Eretic o di The Emerald Forest dove solo il rito di possessione immette nella possibilià di vedere nella natura le forze che vi si nascondono e che si sprigionano, di seguire quelle vie, quei tratti, quei cammini fatti di immagini, lungo il “paesaggio dell’anima”. Questi cammini passano certamente per quella “terra dei sogni” così viva e reale che è l’Irlanda.
Bruno Roberti – Curatore del programma
I FILM IN PROGRAMMA
Adam & Paul
(Irlanda, 2004)
Regia di Lenny Abrahamson
The Butcher Boy
(Irlanda, USA, 1997)
Regia di Neil Jordan
December Bride
(Irlanda, Gran Bretagna, 1989)
Regia di Thaddeus O’Sullivan
Disco Pigs
(Irlanda, 2001)
Regia di Kirsten Sheridan
The Honeymooners
(Irlanda, Irlanda del Nord, 2004)
Regia di Karl Golden
Mickybo & Me
(Irlanda, 2005)
Regia di Terry Loane
Omagh
(Irlanda, Gran Bretagna, 2004)
Regia di Pete Travis
Pavee Lackeen – The Trav eller Girl
(Irlanda, 2005)
Regia di Perry Ogden
Studs
(Irlanda, 2006)
Regia di Paul Mercier
The Tiger’s Tail
(Irlanda, 2006)
11 Novembre 2007