Lo specchio e il linguaggio
Cinema italiano in crisi?
Riemerge l’antico dibattito…

Roma, città aperta Tre metri sopra il cielo
Ancora la crisi del cinema italiano. Ancora il fantasma del neorealismo. Il tema è tornato sui giornali tra la fine di agosto e i primi di settembre 2007. Le colonne dei quotidiani hanno mostrato una certa inadeguatezza nella prospettiva teoretica, pur necessaria. Non a caso Eugenio Scalfari (la Repubblica, 2/9), ha sentito il bisogno di premettere di essere «soltanto un utente, sia pure appassionato, e non un adetto ai lavori». Ora, se si tiene conto che il discorso ha preso la piega di una riflessione sul linguaggio cinematografico (La crisi di un cinema senza linguaggio era il titolo dell’articolo), proprio l’incipit di Scalfari diventa la parte più interessante di tutto l’intervento. E, di conseguenza, anche di tutti gli altri interventi. (*)
I discorsi dell’ «addetto ai lavori» e dell’ «utente» non possono non avere almeno una pertinenza in comune, che attiene alla sfera semiotica. Il linguaggio produce senso. Un linguaggio totalmente neutro, trasparente rispetto alla “realtà” non esiste. La pregnanza di senso sarà “misurabile”, o percepibile o considerabile, insomma leggibile in una scala che andrà da un minimo a un massimo. Persino quella che percepiamo come “bruta realtà” non può che stare entro i limiti. Figurarsi un film. Quindi, anche il più sprovveduto degli “utenti”, nel momento in cui decide di parlare di cinema nel senso di linguaggio cinematografico, assume in qualche grado la competenza per parlarne. Ovvio che la pertinenza del dibattito dipenderà anche dalla circostanza (mezzo di comunicazione, interlocutori, luogo, data, ecc.). Ma, sia pure sulle colonne di un quotidiano, l’uso di un concetto come specchio, se non adeguatamente precisato, è ad alto rischio di equivocità.
Dunque lo specchio. Rispetto a Galli Della Loggia, Scalfari sembra fare un passo in avanti: sostiene che la crisi del nostro cinema non dipende dalla mancanza di «valori» nella società bensì dalla carenza di «nuovi format». Scalfari contrappone all’attuale cinema italiano il mitico neorealismo. Com’è noto, aspro è stato, già una trentina di anni fa, il dibattito sull’omogeneità del fenomeno e sulla sua stessa esistenza. Ma Scalfari recupera del neorealismo il concetto di specchio: «I film che furono prodotti in quel contesto – dice – ebbero la funzione di fornire uno specchio nel quale la società italiana si guardò». La domanda è: ciò che manca oggi è lo specchio o il linguaggio? In film come Tre metri sopra il cielo lo specchio non sarebbe abbastanza fedele? E, a proposito: la teoria “estetica” del rispecchiamento non fu madre e figlia del terribile realismo socialista?
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(*) – Per Ernesto Galli Della Loggia (Corriere della Sera, 29/8) la crisi di identità del cinema è nella vittoria dell’individualismo sui «valori» quali furono rappresentati nei film neorealisti. E Carlo Lizzani rafforza l’idea, precisandola col concetto di «rivoluzione formale» e invocando «una nuova rivoluzione del linguaggio» (la Repubblica, 30/8). Marco Bellocchio (la Repubblica, 31/8) considera il neorealismo «finito per sempre» e sottolinea l’importanza delle nuove tecnologie (i cellulari, internet) per «un cinema italiano che ricerchi nuove forme». Per Ermanno Olmi (la Repubblica, 1/9) ad essere in crisi è «tutta la società». Paolo D’Agostini (la Repubblica, 4/9) punta genericamente alla forma: «Non è il contenuto a qualificare la novità di un film, di un’opera, ma la sua forma, il modo espressivo, lo stile, il linguaggio».
Franco Pecori
5 Settembre 2007