Libri, Mezzogiorno di fuoco
Grace Kelly e Gary Cooper nel film di Fred Zinnemann, 1952
Il matrimonio interrotto
Utile per una riflessione sui generi cinematografici e sul “Far West della vita”, ci arriva il libro di Pino Galeotti, Mezzogiorno di fuoco e dintorni (Graphofeel, 2015). Laureato in Filosofia con una tesi di Estetica sul cinema di Godard e autore e regista televisivo (Rai3, Rai Educational), Galeotti ha preso spunto dalla partecipazione a un convegno sul tema del matrimonio – su invito di Quirino Galli, direttore del Museo delle tradizioni popolari di Canepina, Viterbo – e ha rivisto High Noon per l’appunto come un film il cui centro tematico sono le nozze. Sceneggiato da Carl Foreman, il film di Fred Zinnemann, è stato classificato come classico del western più per il successo di pubblico che per unanimità della critica. George Sadoul, nella sua Storia del cinema mondiale (Feltrinelli, 1964), scriveva di «un western in cui la regola delle tre unità veniva applicata con una certa artificiosità» e di un film che «mostrava, negli anni del maccartismo, un uomo ridotto alla solitudine dalla paura». Nella voce “Mezzogiorno di fuoco” dell’Enciclopedia Sansoni dedicata al Cinema (1968, traduzione del Dictionnaire des Film, Editions du Seuil, 1965), il Sadoul riconosceva il «grande successo» riportato dal film, ma aggiungeva che «Senza dubbio questo western “intellettuale” venne allora sopravvalutato. Si disse che lo sceneggiatore Carl Foreman aveva fatto ricorso ad “autori fantasma” iscritti sulle liste nere. Si era allora nel pieno della “caccia alle streghe” e alcuni vollero vedere una descrizione metaforica nella disperante ricerca di Kane, “l’uomo che cammina in mezzo al tradimento” (Doniol-Valcroze), nella viltà dei buoni cittadini, nella canzone ossessionante di Dimitri Tiomkin: High Noon (Do Not Forsake Me, Oh My Darlin). Ma è solo un film decoroso, mai spontaneo, che accumula effetti e discorsi in modo troppo costruito. Doveva girarlo Losey, ma Kramer [il produttore Stanley Kramer] lo passò a Zinnemann perché politicamente meno esposto». Come si ricorderà, Mezzogiorno di fuoco racconta della decisione di Will Kane (Gary Cooper), sceriffo di Hadleyville, cittadina immaginaria del New Mexico, di non lasciare il suo posto e di attendere l’arrivo del fuorilegge Frank Miller (Ian MacDonald), assetato di vendetta. Graziato dalla condanna avuta in seguito all’arresto subìto proprio ad opera di Kane, Miller sta tornando in città per uccidere lo sceriffo. Per Willy è il giorno delle nozze con la quacchera Amy (Grace Kelly), contraria alla violenza. La sposa minaccia di andarsene da sola ma poi aiuterà il marito a salvarsi, visto che i notabili e i benpensanti della città lo hanno abbandonato. Contro il parere del Sadoul, la critica italiana ha poi rivalutato il film. Galeotti nota come Tullio Kezich abbia considerato High Noon come uno dei capisaldi del cosiddetto western “adulto”, “maggiorenne”; e cita Gianni Amelio, per il quale «nascosto tra i tormenti di uno sceriffo coraggioso e le pistole di una banda di scellerati c’è addirittura Ibsen e uno dei suoi drammi più severi: Un nemico del popolo». E a noi verrà in mente il successivo sviluppo del genere western, sulle basi di grandi registi/autori come Howard Hawks (Red River 1948, Rio Bravo 1959), fino alla nuova coscienza anche degli attori americani (Robert Redford, The Horse Whisperer, 1998). Sotto l’ottica critica di un nuovo cinema, giustamente Galeotti, proprio a proposito del western, ricorda il termine suggerito da André Bazin, di “sur-western”, per un cinema che, dopo la seconda guerra mondiale, «cerca di suscitare l’interesse del pubblico con tematiche di ordine sociologico, morale, psicologico, politico ed erotico – insomma con qualsiasi elemento che si presumeva potesse arricchirlo, impreziosirlo». Da tale punto di vista, viene da dire che la concezione “spettacolare” di un Sergio Leone risulterebbe retrospettiva, mentre rispetto alla classicità di un Ford emergono nella diegesi di Zinneman elementi di suspense tendenti al thriller. Non c’è mai, comunque, alcun accenno di estetismo né di sottolineatura formale. Galeotti esamina piuttosto la struttura narrativa di High Noon, in funzione sì di un corretto richiamo storiografico (evoluzione del genere, componenti tematiche, relazioni referenziali tra le figure in evoluzione) – non mancano puntuali riferimenti alla storia americana: il 1898, anno in cui si svolge l’azione del film, è per molti storici «emblematicamente l’anno di nascita dell’imperialismo americano»; e tutto un capitolo è dedicato al contesto storico e socio-culturale, pistoleri, donne e indiani – ma soprattutto per allargare e approfondire un discorso psicoanalitico, appoggiandosi alla concezione junghiana. E’ questo il punto centrale del lavoro. Dato per risolto il dibattito storico-critico sul valore artistico del film, inquadrato dentro la problematica più attuale della “Morte del Western”, il discorso approda a considerazioni sulla struttura del matrimonio, elemento determinante nell’attuarsi del racconto e nella visione che del suo esito ne può scaturire. Emerge l’importanza tematica del matrimonio. Non per nulla, la canzone col suo ritornello, “Non mi lasciare solo, amore mio”, «diventa sempre più un elemento significante nel crescendo drammatico della narrazione». Quello di Mezzogiorno di fuoco è un “matrimonio interrotto”. All’inizio, lo sceriffo sposa la giovane Amy e vive un momento di gioia collettiva insieme agli amici, ma il futuro di quell’unione si fa subito incerto, gli eventi sembrano frapporsi decisamente. L’angosciosa attesa dell’arrivo della banda e dell’immancabile scontro mortale in cui dovrà rischiare la vita il marito, porterà alla svolta profonda, interiore, della sposa, la quale, da rigida pacifista (anche per la sua storia privata, padre e fratello uccisi in uno scontro a fuoco), impugnerà addirittura la pistola (simbolo maschile, segno di decisione armata) per salvare il suo Willy. Al risanamento interiore potrà corrispondere quello del matrimonio interrotto. E’ la nota fondamentale di Galeotti, a concludere lo scrupoloso lavoro: «Questo processo di risanamento e integrazione di una parte (in questo caso il maschile) nel complesso insieme dell’essere psichico, quest’unione della componente maschile della donna con la sua parte femminile è ciò che il grande studioso dell’inconscio Carl Gustav Jung ha definito con il termine di Individuazione. Significativamente Jung parla anche di “nozze interiori”, o meglio Nozze sacre, e del matrimonio di ognuno con se stesso». E mentre Amy impugna la pistola, Will getta via la stella di sceriffo, «per liberarsi, una volta per tutte, di un ruolo che ha soffocato così a lungo la propria parte Anima».
Franco Pecori
28 Maggio 2016