Come si analizza un film?
Nel 1971 Filmcritica dedicò al tema “Il film e la critica” uno speciale, in cui figuravano, tra gli altri, gli interventi di Giulio Carlo Argan, Gianfranco Bettetini, Gillo Dorfles, Emilio Garroni, Giorgio Napolitano, Pier Paolo Pasolini (1). Un questionario molto schematico sottoponeva al giudizio «almeno quattro livelli di approccio all’opera»: a) contenutistico-divulgativo (giornalistico); b) impressionistico; c) concettuale-metaforico; d) analitico-semiotico. Rispondere mi sembrò quasi impossibile, talmente evidenti apparivano le implicanze non risolte già nel modo stesso di porre la questione. Scrissi perciò una breve nota ironica, in cui citavo il mito di Sisifo per analogia con l’impossibile «rapporto intimo» del critico col film. Come Sisifo e la pietra, appunto: «Per ogni film una nuova fatica e tornare giù per rinnovarsi».
L’orizzonte non limpidissimo della ricerca mi dava purtroppo ragione. Si pensi soltanto che di lì a poco Umberto Eco avrebbe già sfornato nientemeno che un “Trattato di semiotica” (2), mentre ancora, come notò Emilio Garroni nella recensione del libro, la situazione della materia era «talmente delicata» da dubitare che fosse giusto farne un «trattato», il quale dovesse «definire nello stesso tempo il proprio oggetto e quindi fondare se stesso in quanto trattato» (3). E ancora oggi, dopo decenni di dispendiosissimi sforzi nelle direzioni più disparate, che hanno portato studiosi delle più diverse discipline a scontrarsi con problemi irrisolvibili in quanto mal posti, cioè non esplicitati a livelli adeguati, vedo che si tende disperatamente a ricominciare da capo.
Mi è giusto arrivato il dépliant di un Film Summer School patrocinato dal Dipartimento di Storia delle Arti e dello Spettacolo dell’Università di Firenze. Una quota di iscrizione di 500 euro dà diritto a seguire il corso: «L’analisi del testo filmico: una preparazione integrata sugli aspetti testuali, critici e teorici del film». Ad un Comitato di direzione scientifica il compito di selezionare i candidati – massimo 40: laurea, dottorato di ricerca, studenti del triennio – in base anche al loro curriculum e alle motivazioni scritte dell’interesse al cinema; e ai Docenti, di livello universitario, il compito di preparare i partecipanti sugli aspetti del film. Probabilmente si vuol dire che si vogliono considerare i problemi di un approccio testuale, critico, teorico al film. La prendo per buona. Tuttavia mi resta il dubbio di una confusione tra «analisi del testo filmico» e «aspetto teorico del film». Forse si vuole intendere cinema. E allora, però, alcune oscurità nel testo di presentazione del corso suonano antiche, primordiali rispetto alla storia teorica e teoretica, prima e dopo la semiotica. Ecco:
Come si analizza un film? Che differenza c’è fra vedere e guardare? O fra gustare un film e lavorarci sopra, per analizzarlo nelle sue forme visive e narrative? Quali soni i percorsi possibili, le piste interpretative che lo spettatore può seguire durante la visione? Un film è un organismo complesso che mostra immagini e racconta storie nello stesso tempo. Se il romanzo ha come valenza dominante quella di raccontare storie, e sopperisce con la grande arte della descrizione alla mancanza di aspetti visivi immediati; se la pittura, al contrario, ha come valenza dominante quella visiva e simbolica, e può solo suggerire una narrazione, con singole scene e singoli momenti di una storia, il cinema invece può fare, e fa, nello stesso tempo quello che fanno il romanzo e il quadro, perché opera dentro la dimensione visiva e dentro quella narrativa: racconta storie e mostra immagini. Come è possibile muoversi dentro questi due mondi, le parole e le cose?
Quasi ad ogni parola (i corsivi sono miei) uno o più problemi di pertinenza, di proprietà, di teoretica. Una su tutte, l’immediatezza visiva del cinema. Il considerare immediata l’immagine cinematografica non può che riportare alla questione dell’obbiettività dell’obbiettivo. Tanto varrebbe organizzare, che so, nell’Istituto di Letteratura Italiana un seminario su “Soggetto e complemento oggetto”. Non è da meno, pur riferita ad altro campo, non cinematografico, l’espressione grande arte della descrizione. Si mescolano due diverse pertinenze: arte e descrizione. Non è detto che dove vi sia descrizione vi sia anche arte, né piccola né grande. E non è detto che la descrizione nel romanzo (ma il discorso dovrebbe valere per tutto l’ambito letterario, laddove vi sia descrizione) sia un modo per sopperire: chi ha detto che gli aspetti visivi siano una necessità letteraria?
Film Summer School – precisa il dépliant – non intende certo rispondere a tutte queste domande, ma solo impostarle, chiarirle, aiutare i partecipanti a individuare i punti di forza dentro il film, a leggere il cinema anche per poterlo fare.
Punti di forza dentro. Lasciamo perdere.
Franco Pecori
1 – Cfr. Filmcritica, n. 215, aprile-maggio 1971.
2 – U. E. Trattato di semiotica generale, Milano, Bompiani, 1975.
3 – E. Garroni, Semiotica generale, il “trattato” di Umberto Eco, Paese sera, 11 luglio 1975.
3 Maggio 2008