Sandro Acerbo: come si doppia James Bond
«Il difficile mestiere del doppiatore»
Parla il direttore del doppiaggio di Quantum of Solace
Lettura, traduzione, interpretazione. Il compito di chi doppia in italiano la voce di un attore straniero non è semplice. Il risultato artistico incide sulla qualità del film. Il pubblico, senza accorgersene, identifica la prestazione originale con quella italiana. Il doppiatore deve immedesimarsi nel personaggio. In occasione dell’uscita in Italia di Quantum of Solace, l’ultima avventura di James Bond, abbiamo incontrato Sandro Acerbo, direttore del doppiaggio del film di Marc Forster, negli studi della CDC Sefit Group.
– Acerbo ha dato la voce ad attori come Brad Pitt, Robert Downey Jr., Michael J. Fox, Timothy Hutton, Will Smith, Nicolas Cage. Gli abbiamo chiesto di spiegarci le fasi della lavorazione.
«Una volta arrivato il materiale visivo e il relativo copione, c’è la fase del cosiddetto adattamento dei dialoghi. In generale, quando faccio la direzione mi occupo anche di tale aspetto, ma in questa specifica occasione ci siamo un po’ divisi i compiti, perché i dialoghi li ha curati Marco Mete e io ho fatto soltanto la direzione. L’adattamento consiste nell’ottenere nella versione italiana la stessa lunghezza e le stesse espressioni di bocca che sono nell’originale inglese. Questo è un lavoro a monte molto importante, perché da lì viene condizionato tutto il resto. Nel caso di questo film, si è aggiunto un altro problema specifico, provocato dal fatto che esce in contemporanea in tutti i Paesi. Ci è dunque arrivata una versione provvisoria, poi nell’arco della lavorazione ne sono aggiunte altre. Quindi è stato necessario operare delle correzioni in corso d’opera, fino a che il dialogo non è stato totalmente completato. Solo a quel punto si va in doppiaggio, con la tempistica che è quella di circa quindici giorni di lavoro in sala».
– Dagli “anelli” al mixage…
«Anzitutto la mia assistente al doppiaggio, la professionista che si incarica di preparare il film dividendolo in tante piccole parti, che chiamiamo ‘anelli’, e appronta un piano di lavoro che consente di programmare il numero dei turni, facendo venire i doppiatori secondo le necessità. Ogni turno è composto da tre ore di lavoro. Poi c’è il fonico, che ha una funzione molto importante, perché in questi film abbiamo bisogno di un’attenzione particolare al dialogo originale e di riprodurre esattamente tutto quello che è il film in inglese. Diciamo che i tre personaggi -direttore, assistente e fonico- devono lavorare in équipe. Nel nostro caso c’è stato anche il vantaggio di avere avuto accanto un supervisor, che cura l’edizione europea del film, quindi si occupa delle versioni italiana, francese, tedesca e spagnola. Lavora insieme a noi, dandoci le indicazioni e facendo delle richieste specifiche su come vuole certe cose o eventuali cambiamenti di dialogo all’interno delle battute. Un momento ulteriore è quello della sincronizzazione. Dopo una prima fase di doppiaggio, non tutto è perfetto, ci sono dei ritardi abbastanza fisiologici, delle cose da mettere a posto. Allora entra in scena un altro mestiere molto importante, che è quello del sincronizzatore. In una sala specifica, rimette a posto tutto il dialogo, facendo che sia perfettamente ‘a sinc’, pronto per essere controllato in sala mixage. A quel punto, il fonico di mixage assembla tutte le varie componenti, dal doppiaggio alle musiche, agli effetti, per avere così il film completo. Infine, si manda la pellicola allo sviluppo in stampa per le copie che andranno nelle sale».

Francesco Prando doppia Daniel Craig
– Quali i motivi della scelta per la “voce” di James Bond?
«Abbiamo ritenuto opportuno confermare Francesco Prando, dopo il suo lavoro per il film precedente Agente 007-Casino Royale. In quella occasione, la prima cosa che ho cercato di fare è stata quella di trovare una voce abbastanza simile a quella di Daniel Craig. Ma questo non basta, perché lì avevamo il problema di avere una voce che mantenesse quelle caratteristiche di fascino, di ironia, di simpatia che sono tipiche del personaggio di Bond. E quindi sono stati fatti dei provini. Ho chiamato gran parte dei doppiatori più bravi di quella fascia di età che abbiamo sul mercato e poi c’è stata la decisione, di concerto con la distribuzione, che è la Sony Pictures. La scelta è caduta su Francesco Prando, che aveva, secondo noi, le caratteristiche più adatte alla cosa: è risultata azzeccata, perché ha poi avuto un riscontro sia nella critica sia nell’ambiente».
– E per gli altri personaggi del film?
«L’altra protagonista, che è il personaggio di M, il capo di 007, è stata doppiata come sempre da Sonia Scotti. Poi c’è la Bond girl di turno, che in questo caso è un’attrice di madre lingua russa, Olga Kurylenko, con la voce di Francesca Fiorentini. Qui abbiamo cercato di avvicinarci all’originale, quindi si è dato una sorta di accento russo, per rispettare quelli che erano i dettami della versione inglese. Il solito ‘cattivo’ ha invece l’accento francese di Mathieu Amalric. Noi abbiamo scelto per lui proprio un doppiatore francese che parla un italiano perfetto, ma che dà quel ‘sapore’ che ci serviva, perché i film di James Bond normalmente sono ‘multietnici’. Qui si passa da location come Talamone e Siena, in Italia, ad Haiti, a Bregenz in Austria, quindi c’è una varietà di personaggi, e noi, nel rispetto della ‘multietnicità’ del film, ci siamo comportati di conseguenza».
– In tutto, quanti doppiatori hanno lavorato?
«I personaggi principali saranno stati una decina. Poi c’è tutto il contorno, ci sono i ruoli minori che vanno comunque doppiati: gli assistenti di M, un’altra ragazza che compare poco ma è importante nel film, e infine anche due attori italiani. Come nell’edizione precedente, recita Giancarlo Giannini, che ovviamente si è doppiato da solo, e c’è Lucrezia Lante della Rovere che è venuta a doppiarsi per la piccola parte che fa. Quindi, almeno una trentina di persone tra parti maggiori e secondarie».
– Quali consigli darebbe ai giovani interessati al doppiaggio?
«Quando c’è questo tipo di passione, è sempre benvenuta. L’unica maniera per cercare di avvicinarsi a questo mestiere è quella di provare ad avere la fortuna –perché non tutti sono disponibili a concederlo- di andare in sala e cominciare a capire in cosa consista il doppiaggio. In seguito ci deve essere un lavoro continuo, che secondo me non è uno studio di scuola di doppiaggio, perché io sono un po’ contrario a queste scuole, ma piuttosto è bene studiare dizione e recitazione. Poi la specificità del doppiaggio porta a dover essere in sala per capire bene i meccanismi, i segreti e il modo di farlo, che agli occhi di tutti può sembrare molto facile, ma non lo è affatto. Quindi ci vuole tanta pazienza, tanta abnegazione, tanta passione e ovviamente, non ultimo, una voce con delle caratteristiche specifiche che possano adattarsi ai personaggi che si vanno a doppiare».
Giovanni Casa
4 Novembre 2008