Schiano e Vittorini a Radiotre
Un certo discorso – musica
Assieme al jazz un po’ di allegro varietà
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«Mario Schiano e Tommaso Vittorini in concerto, è quanto presenta oggi alle 15,30 Radiotre nel programma Un certo discorso-musica. I due jazzisti faranno ascoltare la loro nuova suite intitolata Un cielo di stelle». Attratti da questo annuncio, che con il titolo «Concerto jazz a Radiotre» è apparso sui giornali del 20 aprile scorso, abbiamo cancellato gli appuntamenti di quel pomeriggio. Seguiamo il jazz da una ventina di anni e il duetto dei sassofonisti italiani, tra i più jazzistici e spiritosi del momento, ci sembrava degno di attenzione. Interessante anche l’orario del concerto, una fascia dall’ascolto generalmente “giovane”, ma anche – bisogna dirlo – un ascolto catturato spesso con le trovatine di garzoncelli scherzosi un po’ troppo immedesimati nel chiacchiericcio informale. Conoscendo le doti di Schaino e Vittorini, c’era da aspettarsi una bella raschiatina alla verniciatura finto-floreale o neoromantica ignorantella.
Da varie settimane, Filippo Bianchi e Gino Castaldo, gli attuali conduttori di Un certo discorso-musica, stanno spremendosi le meningi proprio per cercare di non cadere in certi trabocchetti; ce la mettono tutta per rendere trasparente e quindi “didattica” una certa situazione. Me lo dicevano sere fa, in un angolo del “St. Louis”, a due passi dal Colosseo, mentre folta e rispettosa la gente applaudiva i cabarettisti monocordi e le agitazioni Varèsiane dell’ambizioso Alex Von Schlippenbach. «All’improvviso, spiegava Filippo, ti trovi a dover riempire ogni giorno per tre mesi un’ora e mezza di trasmissione; da una parte, non vuoi rinunciare a fare un programma d’autore, dall’altra sei alle prese con il ritmo quotidiano, che ti dà inevitabilmente il suo stile. Salta fuori così una certa cialtroneria, che noi cerchiamo di utilizzare in positivo, quasi denunciandola come un dato di fatto e donandola agli ascoltatori come chiave di lettura».
Il problema della musica, dell’ascolto ma anche della produzione, dell’organizzazione dei musicisti, dei dischi, dell’educazione, ecc. è un problema che da qualche anno è emerso in tutti i suoi caratteri contraddittori. Fare un viaggio attraverso la musica in Italia, come si sono proposti Bianchi e Castaldo, è un progetto da brivido. Così, un po’ per tedio un po’ per non morir, i giovani ideatori/conduttori di Un certo discorso – musica ultima edizione si sono dati un tono un po’ ironico, tra l’hippy e il vitellone alternativo, di due ragazzi a spasso per le strade della musica, stando però attenti alle buche del naturalismo cronachistico; cercando invece di affrontare il mezzo sempre in una doppia ottica: viaggio nella musica e viaggio nel programma radiofonico sul viaggio nella musica.
Con allegria e spensieratezza, con affanno e con suspense, nei 90 minuti di trasmissione si entra e si esce di continuo dallo studio, cambiano le prospettive di ascolto, i piani sonori, le qualità dei missaggi; e si articolano così anche i piani narrativi, pretesti minimi per stimolare il pubblico a liberarsi di certe strutture di finzione troppo rigide. La cialtroneria indossa le virgolette e l’ascoltatore – come diceva Gino nella penombra del “St. Louis”, sottovoce per non disturbare Alex che “bussava” le corde del piano – «impara giorno per giorno, insieme a noi, ad usare la radio; gli facciamo sentire pezzi non montati e poi glieli riproponiamo montati, attraversando tutti i passaggi della produzione, le prove, i vari livelli di sonorizzazione, l’inserimento della musica, magari con dei passaggi dall’esterno all’interno denza soluzione di continuità».
Così, anche il “concerto” di Schiano e Vittorini si è risolto in uno smontaggio “a scena aperta” di materiali per una trasmissione da fare: l’umore dei protagonisti, le battute sarcastiche durante il loro “viaggio” dalla strada ai corridoi di via Asiago, su e giù per gli ascensori («Ognuno di questi ascensori ha un suono diverso. Prima il caffè o prima l’ufficio contratti?… Roba di epoca umbertina, solo l’ingresso è fascista…»; poi si entra nello studio di registrazione. L’annunciatrice fa le prove: «Dalla sala M della sede Rai di via Asiago trasmettiamo ora un concerto di free jazz». Anche Schiano e Vittorini fanno un «blusettino di prova». Ma il pubblico non arriva perché – spiega Castaldo a Schiano – il free jazz all’ultimo momento è stato soppresso. I conduttori fanno ascoltare ai musicisti, per consolarli del mancato concerto, la registrazione di interviste (parodiate?) che avrebbero dovuto completare il programma: un siparietto macchiettistico, con il giovane “fumato”, lo snob napoletano, la guardia, il barista, con le improbabili risposte all’improbabile domanda: che cosa pensate del free jazz. Confidenza per confidenza, convinti di non essere in onda (ma forse stanno recitando la parte), Schiano e Vittorini rimpiangono i tempi di una volta, quando il free era cosa di tutti i giorni. Schiano canta al pianoforte una canzone napoletana, ‘O vero free era chillo ‘e ‘na vota. Sul modello di falso struggimento alla Fred Bongusto, dice accorato: «’A tristezza cchiù grossa che m’accide è ca ‘sti pescaturi ‘e Margellina non canteno cchiù free ma sulo pop».
Il concerto jazz è ormai dimenticato? L’ultimo lavoro di Schiano e Vittorini, Un cielo di stelle, vero e proprio spettacolo di varietà, con presentatore, capocomico, ballerine, cantanti e padrone di teatro dalla cambiale pronta, sembrerebbe confermare. Ascoltiamo il nastro con la divertentissima “pièce” come da una registrazione “pirata”, fatta da un amico mentre la compagnia “Garner-Vestri”, in un cinemino di periferia, propone lo spettacolo ad un terzetto internazionale di impresari (umbro-felsineo-americani: allusione a Umbria Jazz?), accaparrati dal “critico” Gino Castaldo. L’atmosfera del varietà è perfettamente… regolamentare. Ma ascoltando «Mario Schiano della Rai-Tv» che viene a presentarci un suo grande successo, «di Lomoriello-Cecere-Beneduce-Dentice-Apuzzo-De Marchis-Quagliardi, “Nun te scurdà ‘o garofano”», cominciamo a pensare che Un cielo di stelle abbia qualcosa a che fare anche col jazz italiano e con le difficoltà di fare concerti di free. Ci diceva Vittorini parlando delle ragioni di questo “varietà”: «È un’idea che ci viene dall’aver frequentato per tanti anni certi piccoli locali, i piccoli funzionari del decentramento, il Folkstudio».
Franco Pecori Assieme al jazz un po’ di allegro varietà Paese Sera, 21 maggio 1979
21 Maggio 1979