Ma che senso ha dire che il rock è di sinistra?
Un dibattito che non parla solo di musica
Dopo gli interventi di Michele Serra (6 aprile), Mario Spinella (10 aprile), Enrico Menduni (16 aprile), interviene nel dibattito sul rock Franco Pecori
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Il rock-duro è di sinistra? I giovani che lo frequentano, probabilmente, trovano questa domanda un po’ vuota di senso. A loro, come ha osservato Mario Spinella sull’Unità del 10 aprile, interessano altre cose, interessa il vissuto, «l’incontro, il corpo come oggetto vitale e non solo pretesto sessuale, la tensione, la non-accettazione». Cose che Enrico Menduni, presidente dell’Arci, ha riassunto (sull’Unità del 16 aprile) nella formula in voga fra i giovani: lo “stare bene”. E ha detto anche: «Dobbiamo lavorarci sopra, altrimenti lo “stare bene” oggi non sarà la premessa di una società diversa ma la sua pratica negazione».
Bisogna lavorarci, ma tanto. Perché la musica rock sembra tutt’altro che carica di certe premesse. Ora ci sarà una lista Rock per le elezioni amministrative a Milano e le cose si complicano. Tutti dicono in sostanza: il fenomeno c’è e dobbiamo tenercelo, cercando magari di estrarre da una certa carica giovanile i lati positivi. Spinella ricordava che il rock è «uno dei dati culturali di fondo» nel mondo dei giovani e dei giovanissimi; e che non è nemmeno tutto uguale, se è vero che al suo interno è possibile registrare una contrapposizione disco-music/rock-duro. Per i figli, cugini o fratelli dei Rolling Stones (e per i Rolling stessi, visto che adesso tornano a galla), il Travolta e i suoi parenti più o meno prossimi non sarebbero che dei pierini.
Le cose non sono così semplici. C’è da chiedersi di quale sostanza sia fatta questa discriminante. Menduni si meraviglia che il dibattito sulla «libertà o alienazione» del rock spinga a cercare l’alienazione in una «forma di spettacolo» anziché nei «rapporti di produzione». Ma proprio qui invece sta il punto. La sociologia come scienza di fatti mostra da tempo i suoi limiti e si sta affermando l’esigenza di una scienza del senso. In altre parole, vediamo che rapporto c’è tra le cose (per Spinella, l’iniziativa del rock milanese di presentarsi alle elezioni maturava da tempo, era già «nelle cose») e l’organizzazione dei significati. Dunque vediamo anche com’è fatto lo spettacolo. Se no, tutto si confonde in una dimensione falsamente planetaria, in uno spazio senza limiti, in cui stanno insieme sia la Patti Smith dei megaconcerti italiani, sia i Rolling Stones dell’annunciata tournée cinese, sia il Jack Marchal, cantautore francese che scrive su La voce della fogna (giornale di Pino Rauti): «Il rock è innanzitutto fascista».
Che la musica non sia politicamente neutrale e che un concerto non sia un concerto e basta è cosa tutt’altro che nuova, almeno per chi, come chi scrive, si è occupato, dalla metà degli anni ’60, del boom del jazz nel nostro paese, con i relativi problemi di teoria e di pratica (pericoli normativi nelle scelte stilistiche e necessità di una gestione non grettamente imprenditoriale delle attività). Ma nell’area jazzistica si è più ferrati, forse, nelle dispute tra progressisti e reazionari, vissute sulla capacità di individuare certe valenze ideologiche dietro l’apparente neutralità estetica. E così dicasi anche per la musica classica, fino alle sue ultime derivazioni.
Per il rock, non è mai troppo tardi. Dagli anni ’50 in poi, abbiamo avuto un mare di chiacchiere sul significato “liberatorio” dei contorcimenti e delle epilessie da palcoscenico. Ma i risultati di questa ultraventennale rivoluzione quali sono? Presley e Rolling Stones: di quanto hanno spostato la bilancia progetto-prodotto nel rapporto produzione-consumo culturale, a livello delle grandi masse? Il rock è un prodotto americano: come valutarlo rispetto all’intenzionalità espressiva che ne sta all’origine, ossia il blues?
Un pericoloso equivoco
Sotto la maschera del progressismo, si è consumato un vero e proprio sterminio del blues, tutto a vantaggio dei grandi imperi discografici. E oggi, tra un Get Happy (stai allegro) di Costello (etichetta Wea) e un Anarchy, Peace and Freedom dei Crass (etichetta Crass Records, autonoma) non c’è molta differenza di senso: il rock dei new waiwers anarchici viene definito dalla critica-ultima-moda un «grande “buco di culo” capace d’inghiottire le contraddizioni d’ogni giorno»; dunque, cosa volete che siano le piccole felicità quotidiane contrabbandate dalle canzoni di Elvis Costello? Non a caso s’è fatta strada l’idea di sbandierare apertamente, da parte fascista, una sorta di diritto di prelazione sul potenziale violento e futurista del rock, dalle origini a David Bowie. Di fronte a simili miscugli, bisognerà approfondire.
Quella di Travolta/rock-duro ha tutta l’aria di essere una falsa alternativa, ancor più pericolosa se tradotta in risultato elettorale. Rischia di riprodurre, infatti, dal punto di vista della disco-music, la situazione di una società in cui quelli che si rifiutano di affrontare seriamente la crisi lasciano spazio alle pseudosoluzioni. In termini musicali, il “teppismo” del nuovo rock. Non c’è più trovatello (degradamento neoromantico di “trovatore”) che, mettendo mano a una chitarra, non pensi di dover sembrare il diavolo in persona, brutto e demenziale, stupido e feroce, spregiudicato e fisicamente disposto alla scarica elettrica. Ma che senso avrebbero gli stracci e le diavolerie dei rockers “cattivi” se soltanto la gente avesse modo di rendersi conto della storia del jazz e della fine che è stata fatta fare al blues?
Prendere il rock semplicemente come un dato di fatto è molto pericoloso. Lo «spettacolo» rock è anche un testo da leggere. «Il corpo come oggetto vitale», definiva Spinella. Bene: quale corpo? Di quale senso? È qui che comincia il discorso, perché il rock, più di altre forme attuali, è travestimento. Sotto le apparenze della «non-accettazione», si afferma l’immagine di un giovane mistico, programmaticamente ignorante, che tende a vivere la vita in forma di rito, sostituendo l’esperienza con i suoi modelli e paventando la realtà come i cavalli l’ostacolo. Questo giovane che ama il rock, anche quello “duro”, è disponibile a qualsiasi chiacchiera, purché non gli si aprano le porte dell’orfanatrofio entro cui lo mantiene a pensione la Cultura dell’Industria. Vuole cercare il «corpo» e s’appaga dell’abito. Senza saperlo.
Cominciare a saperlo, uscire dalla generalizzazione, significa provare a fare un rock diverso, ossia un rock con altre premesse; che resista, intanto, allo sterminio multinazionale del blues e che si di-mostri diverso anche nella forma dello spettacolo. Per forza di cose: producendo dischi e allestendo concerti si produce senso, giacché la musica è, al dunque, una forma di comunicazione. E una musica diversa non potrà non smontare la ritualità scenica, riarticolandola in altre simbologie, per esprimere un senso diverso del fare musica. Come oggi c’è il “teppismo” del rock-duro, in altri tempi c’era la “nobiltà” del valzer viennese. A queste condizioni di consapevolezza potrà nascere anche un rock italiano. Non una lista per le elezioni.
Franco Pecori Ma che senso ha dire che il rock è di sinistra? L’Unità 23 aprile 1980
23 Aprile 1980