Streaming e politica
Trattative in streaming per un nuovo governo
27 marzo 2013. Non sembri attualità. Quanto più la situazione politica italiana si fa disastrosa, tanto più è evidente la carenza di realismo nel settore. Ma attenzione a non equivocare semplificando. Si tratta forse di “realismo socialista” e/o di “rispecchiamento”? O si tratta del portato di falsità del concetto di “obiettività dell’obbiettivo” (dove per obbiettivo è da intendersi quello della telecamera e insomma, per estensione, la tecnica dell’audiovideo)? Ci riferiamo all’immagine diffusa in streaming dell’incontro del presidente incaricato, Pier Luigi Bersani, con i rappresentanti del Movimento 5 Stelle, in vista di (qui la parola racchiude quantità di senso che vanno oltre il dato tecnico della ripresa audiovideo) o per verificare la possibilità di un nuovo governo. Ha voluto essere una scelta di “trasparenza”? Il passo dalla trasparenza alla verità – questo è il punto – dev’essere sembrato almeno brevissimo, sia ai proponenti (M5S) sia a chi tale forma ha accettato. In termini tecnici, l’idea di trasparente verità dell’evento ha dovuto poggiare, è da supporre, sulla fiducia assoluta nella capacità dell’audiovideo di “vedere la realtà”. Equivoco grave, scambio di senso tra vedere e guardare. Al primo livello, posta una telecamera davanti a un soggetto, si può guardare il prodotto audiovideo che ne risulta. Quanto al vedere, è qualcosa che non può avvenire senza la lettura/interpretazione. Per paradosso semiotico, il testo non è obbiettivo: acquista una sua obiettività in funzione della soggettività interpretativa. Il documentario è sempre comunque un film a soggetto, il Tg viaggia comunque su binari narrativi, e via dicendo. Al dunque, lo spettacolo streaming è stata una falsa novità in quanto falsa era l’ipotesi che si trattasse della diffusione immediata di quel contenuto. A parte la componente dell’allestimento scenico – leggibile e ricostruibile nell’immaginario di ciascun spettatore/fruitore in funzione del proprio grado e/o orientamento culturale (sappiamo quanta diversità contenga la storia del teatro) – la coniugazione “impossibile” era dovuta alla specificità del discorso politico, specificità non coniugabile con una rappresentazione “obbiettiva” tout-court, cioè semplicemente (e dunque falsamente) documentaria. Se la politica è l’arte del possibile e cioè dell’ipotesi, proprio la fede nell’obiettività dell’obbiettivo, in quell’occasione rituale, definiva il connotato alienante della scelta mediatica. Lo spettatore, insomma, ha potuto – e non poteva non – assistere alla verità del falso. Ciò che contava era, esplicito quanto più lasciato da parte, il dietro le quinte. L’equivoco del “realismo” è durissimo a morire, o si vuole – magari in maniera inconscia – continuare a non studiarlo. Si tratta infatti di una questione di metodo.
Franco Pecori
27 Marzo 2013